Che uno poi pensa al post rock e gli vengono in mente sempre i Soliti Noti, quelli che il genere se lo sono inventati, sebbene sia una dicitura talmente vasta che forse neanche Simon Reynolds potrebbe annoverare tutti i sottogeneri sviluppatisi sulla scia di Godspeed You! Black Emperor, Mogwai, Tortoise, Don Caballero.
Pensi al post rock e ti sovvengono lunghe fughe strumentali e chitarre rigogliose di delay. Però c’è qualcuno che il delay non lo usa, le distorsioni neanche le sfiora e guarda invece a quel filone malinconico nato dai Rachel’s.
I Balmorhea da Austin, Texas, nel 2010 hanno messo su un autentico capolavoro di genere. Il titolo Constellations richiama la nota etichetta canadese che alla promozione del post rock ha contribuito pubblicando alcuni dei dischi più emozionanti del genere. Ma non è questo il punto.
Constellations è un album sublime inteso come opera immaginifica ed emotivamente ricca. Il clima è notturno e contemplativo e ci si bagna nella lieve pioggia della title track e della sognante Winter Circle che come in una sonata di Satie.
Il combo non rinnega le sue radici southern e Bowsprit sa di cuoio masticato al tramonto nel deserto. Ma la vena classica è inarrestabile e le cascate di luce di Steerage And The Lamp richiamano a gran voce Claude Debussy.
Tra queste note classe ed eleganza sono assolute padrone. Così come è assoluta padrona la fame che m’attanaglia e che dev’essere immediatamente sedata da me medesimo con la ricetta di questa settimana.
E stavolta per placare i miei istinti primordiali ho deciso di omaggiare (nuovamente) la cucina della mia terra natia apportando le consuete e personalizzanti modifiche.
La scorsa settimana fui in Sicilia e mia madre, accertatasi che il peso del mio bagaglio fosse nettamente inferiore alla soglia massima indicata dalle compagnie aeree, mi ha sobbarcato di noce pesche in quantità di almeno 2 kg superiori la mia voglia di mangiarle e un bel sacchetto di piselli secchi. In effetti, essendo una madre terrona, s’è contenuta.
Co’sti piselli secchi ho deciso di fare il macco. Cos’è, vi chiederete voi non-terroni? In buona sostanza è una purea che di norma si fa con le fave secche, prima ammollate e poi cotte tanto da disfarle e schiacciarle col cucchiaio. Una delle varianti è, appunto, quella coi piselli.
Piatto diffuso in tutto il Sud Italia con nomi variabili a seconda delle zone, la ricetta tradizionale sicula prevede l’uso degli spaghetti spezzati.
Cristo santissimo, a me fanno iper-cagarissimo gli spaghetti spezzati. Appena vedo qualcuno che torce uno spaghetto gli staccherei le giunture con una tenaglia, figuriamoci spezzarli. Che antipatia.
Così ho deciso di usare la pasta mischiata, tipologia squisitamente campana – e che io utilizzo spesso in accoppiata con le lenticchie.
Vabbè, taglio la testa al toro e vi narro come ho generato questo bel piattonzo di Pasta mischiata con macco di piselli e finocchietto, guanciale croccante e ricotta salata.
Come da copione, i protagonisti, gli ingredienti per quattro teschi sorridenti:
– 400 g di pasta mischiata
– 480 g di piselli secchi (non decorticati)
– 40 g di finocchietto selvatico
– uno spicchio d’aglio
– una carota
– una cipolla
– 4 foglie d’alloro
– acqua calda
– 50 g di guanciale
– ricotta salata a piacimento
– olio extravergine d’oliva
– sale
Tutto ha inizio la sera prima: ammollo i piselli in acqua fredda.
Il mattino seguente, intorno alle 11.30, li scolo e li sciaquo e li sbollento per 15 minuti. Faccio un trito di cipolla e carota che rosolo in un tegame con olio extravergine d’oliva mentre mi gratto un’ascella, preferibilmente la destra. Dimenticavo, metto anche l’alloro e uno spicchio d’aglio, il prurito mi ha deconcentrato.
Afferro quei minchia di piselli sbollentati e li catapulto nel tegame con carota e cipolla e altra roba e dal pentolino che ho qui vicino contenente acqua calda, arrivano tracotanti mestolate d’acqua. Insomma, faccio andare i piselli e gli amichetti sommersi dall’acqua a fiamma vivace per un tempo che non sto qui a dirvi perché è molto lungo non avendo pentola a pressione: circa un’ora e mezzo.
Dopo un’ora di ambasce e cottura, trito il finocchietto selvatico e glielo calo. Che sciauru ca c’è cca, picciù. Tolgo lo spicchio d’aglio che ormai si sta arrimuddando e anche le foglie di alloro.
In un padellino a freddo adagio il guanciale di porco, accendo la fiamma e il grasso fuoriesce, luccicante come un ictus dovuto a un’alimentazione ricca di merda animale e quando è imbrunito, lo tolgo dal fuoco, lo faccio raffreddare e lui è pronto per essere sbriciolato dalle mie arroganti manine.
I piselli sono ormai morbidi, con buona pace delle donne alla lettura, mi dispiace, succede. La cilecca dei piselli però serve a qualcosa stavolta, a fare stu minchia di Macco, quindi col cucchiaio di legno, lo stesso con cui venivo sculacciato quando ero marmocchio da mia nonna, ammacco i piselli. Oddio, sembra una scena sadomaso, ho delle fitte. Ammacco, ammacco e ammacco, schiaccio e rischiaccio, il macco è pronto. Lo lascio un po’ più annacquato perché essendo ricco di amido rischia rendere la pasta collosa.
A proposito di pasta, la cuocio e la travaso nel tegame col macco. Amalgamo a fuoco vivace per qualche secondo e faccio nevicare su qualche scaglia di ricotta salata che sto grattugiando come poco fa, quando mi grattavo l’ascella.
Parcheggio in un piatto fondo e ci metto su il guancialino croccante. E vissero tutti felici e ammaccati.
Stay tuna
– Il Disconsiglio: stavolta non mi arrabatto più di tanto, si abbinano solo le veraci tarantelle sicule. Salutammu.