Well Kome, via Bezzecca 1, Milano
Sagami, uno dei ristoranti ufficiali del padiglione Giappone di Expo 2015, in cui sicuramente avrete mangiato dopo mummificanti code, apre i battenti a Milano. Ma non in via definitiva. Il suo temporary restaurant è ospitato fino al 20 maggio 2016 da Well Kome, noto ristorante giapponese di Milano che, tra le tante proposte, prepara anche il famoso bento box.
Varco la soglia del locale tutto pimpante e profumato e una mano mi si para davanti. Percorro il braccio con gli occhi, la spalla e poi su c’è un viso cordiale e sorridente che mi fissa. É Toshiyuki Kamada, CEO di Sagami, che mi da il benvenuto. Io raffazzono due frasi in inglese, colto alla sprovvista, e mi dileguo verso altri giapponesi che stanno sorseggiando dei simpatici cocktail turchesi. Io, che non voglio esser da meno, ne chiedo uno ma non turchese: m’arriva un Samurai Rock, ovvero sake e succo di lime che stuzzica per bene le papille e le prepara alla degustazione.
M’aggiro per la sala di Well Kome, che per l’occasione è sgombera dai tavoli e volgo lo sguardo al fondo della sala, attraverso una parete di vetro c’è la cucina e rimango attratto da un aggeggio che serve a fare spiedini a nastro. Bomba.
Poi mi volto e c’è il dispenser di miso caldo: ne prendo una tazza fumante, minchia, è buonissimo. Ma buonissimo davvero.
Arriva così l’intervento di Kamada, che ringrazia tutti e spiega la filosofia della catena che si propone di portare in tavola la tradizione culinaria di Nagoya, dove la soba è il piatto principe e che fa un sacco di bene alla salute.
Giusto a ruota c’è la dimostrazione della preparazione della soba. A prepararla uno dei capi-pastai di Sagami di cui però dimentico di appuntare il nome perché sono un cronista dimmerda, quindi non me ne vogliate. L’importante è sapere che la soba si fa con 70% di farina di grano saraceno e 30% 00 e che l’acqua viene appositamente addolcita come in Giappone. In un quarto d’ora lo chef prepara la palla che poi stende con faticose botte di mattarello e, alla fine, arriva il momento più ludico: il taglio della soba con una mannaia, creando delle tagliatelle tutte dello stesso spessore.
Bene, adesso: si mangia.
Giungo ai tavoli gli assaggi di alcuni dei 15 piatti inclusi nel menu di Sagami Temporary Restaurant. Il Ten Musu, un onigiri con ripieno di tempura di gambero, è compatto e reso sapido dall’alga, ma il Miso Kushi-Katsu lo batte: uno spiedino di cotoletta di maiale in salsa di miso rosso, caldo e ben unto, una panatura croccante in cui si fa largo una punta dolciastra. Eccellente.
Non faccio in tempo a ingollare un bicchierino di sake caldo offertomi da Kamada che atterrano le alette di pollo coperte da semi di sesamo. Sono caramellate con una salsa dolce-salata tipica di Nagoya, il gioco di sensazioni, unito alla pelle croccante del pollo, è innegabilmente intrigante. Sì, la foto scattata dal vostro affezionato non le rende giustizia, povera aletta.
Eccoci al piatto forte, il Curry Udon. La pasta è soda e compatta, il brodo è quasi commovente con quell’umami avvolgente e il curry che volteggia tra le papille. Tiro su la pasta risucchiando rumorosamente come prescrive il bon ton nipponico e poi, massì, bevo il brodino direttamente dalla coppa. Sono un po’ eccitato, lo ammetto.
Ho ancora fremiti quando arriva la soba servita con una salsa di soia fredda e condita con cipollotto: piatto semplice eppure ben equilibrato, sapido il giusto ma meno esaltante rispetto al Curry Udon.
La carrellata giunge al termine con il dolce, l’Ogura Toast, snack dolce popolarissimo nei bar di Nagoya. Consiste in una fetta di pane tostato su cui è spalmata un’interessante marmellata di fagioli rossi, un po’ dolciastra, vagamente amarognola, sorretta bene dalla nocina di burro parcheggiata sopra.
Ne vorrei ancora, ne vorrei di più ma la degustazione finisce qui. E siccome Sagami resta aperto ancora per poco, un salto famelico mi toccherà farlo.
Stay tuna
(la foto di copertina l’ho scippata dal sito di Well Kome)