Non dirò nulla di compromettente, tanto in rete si trovano una fracca di recensioni su Ubik di Philip K. Dick, se vuoi sapere come finisce, ti do quattro link e non se ne parla più. E non sto neanche a fare onanismo letterario dissertando su questo o quell’altro dettaglio della trama o menate tecniche di cui so poco e nulla. No. Dick comunque si conferma tra gli autori del Mio Cuoricino, dove c’è spazio per pochi perché solo pochi scrittori Spaccano Il Culo. È uno di quei libri dove non si capisce bene chi è il buono e chi è il cattivo – dicotomia necessaria per un cerebroleso come me – e il continuo sfalsamento spazio-temporale crea un flusso narrativo pieno di suspence e colpi di scena (be’, non troppissimi). Dick ha la capacità di scandagliare l’animo umano come pochi altri Artigiani della Parola, si addentra negli abissi senza paura di trovare qualcosa di spiacevole. Ciò che mi piace dei suoi personaggi è che sono tremendamente contraddittori, sono tanti piccoli Ulisse corrosi da esistenze normali in contesti stra-ordinari (il trattino è necessario). Non ci sono mai eroi nei suoi libri ed è per questo che la sua fantascienza è distopia, paranoia o, più verosimilmente anticipazione di un futuro possibile – e molte delle sue “profezie” si sono già avverate. Se non hai mai letto Dick, tagliati una mano e datti uno schiaffo con la mano tagliata (cioé, usando quella buona che prende quella tagliata e te la sbatti in faccia. Ok?)
Momento fighetto terminato. Che faccio, parlo di fornelli? Se proprio devo, lo faccio.
Insomma, qualche settimana fa avevo una combriccola di mattacchioni a cena e ho pensato bene di sottoporli a un esperimento. Non nego che durante la preparazione mi sia un po’ cagato addosso perché temevo che sto coso facesse schifissimo e io, da Uomo Senza Tonno il cui nome echeggia tra le foreste pluviali e la tundra, non posso mica pisciare fuori dal vaso. Non sono ammessi errori né orrori, qui la bassa nomea va tenuta alta. Ok, poi me la spiego.
Bene: ricetta suina, c’è del porco nei paraggi. Prima di fare sto brasato mi sono documentato scrutando le ricette della concorrenza e ho scoperto che nessuno fa una cosa che faccio io, ovvero marinare il Divino Maiale nel vino. Quindi, io menefotto e lo faccio, anche perché è un passaggio fondamentale per l’equilibrio dei sapori in ballo.
Per sto Brasato di Porco con Cioccolato cosa ci vuole (dosi per una persona):
– 150 g di lonza di maiale
– una bottiglia di Dolcetto d’Alba
– 3 carote, 3 gambi di sedano, 2 cipolle rosse di Piacenza
– 10 g di Cacao 90% Lindt
– rosmarino, salvia
– 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
– sale
– pepe
PORCO!!! Prendo sto pezzo di suino e lo adagio in un’insalatiera di plastica (plastica, non acciaio, mai adatto alle marinature con sostanze acide). Lavo, sbuccio e taglio carote, cipolla e sedano, poi anche salvia e rosmarino e li lancio sul suinello che ora viene annegato dal vino. Sigillo con uno strappo di pellicola e ficco in frigorifero per 24 ore (sì, questa ricetta si inizia il giorno prima).
Cosa succede il giorno dopo? Succede che estraggo sto porco dal vino, con una chinoise filtro il vino versandolo in un altro recipiente e lo separo dalle verdure.
In un tegame con due cucchiai d’olio extravergine di madonne rosolo la carne sigillando per bene la parte esterna, che si annerisce inevitabilmente sia per la caramellizzazione, sia perché il taglio s’è inscurito stando a mollo nel vino. In una padella salto un po’ le verdurazze con un cucchiaio d’olio, appena sono dorate, wa-taaaaaaaa, saltano sul porco in un tripudio carnale che quasi quasi mi eccita ma non ho ancora sviluppato distorsioni dell’impulso sessuale tali da indurmi a consumare rapporti con il cibo (però la compresenza di cibo durante i rapporti carnali la voto con estremo piacere). Verso il vino e faccio andare a fiamma bassa in modo che il porcello si cuocia progressivamente all’interno senza diventare secco come un pezzo di legno. Il tempo non te lo do perché dipende dallo spessore del pezzo di carne. Regolati toccandolo con la mano come faccio io, che cazzo.
Asciugato per bene il vino, cotto per bene il suino, lo tiro fuori, il porco e lo lascio raffreddare un po’ per affettarlo. Le verdure le frullo col mio fido minipimer ma non troppo che ci vuole un po’ di consistenza vegetale in tutto questo tripudio di proteine.
CIOCCOLATO!!! Stacco due quadretti di sto bel cioccolato (cacao? vabbè, minchia me ne fotte) e li grattugio con una cosa che si chiama grattugia adibita a espletare l’azione indicata dal verbo grattugiare. Affetto il suino, ficco il cioccolato nel tegame con le verdure, accendo la fiamma, incorporo per bene e passo le fette di maiale in questa bella cremina che ha un po’ l’aspetto della merda, ma non ci farei troppo caso, fossi in te. Ah, ho dimenticato, sale e pepe sulla carne, sempre.
Cosa succede una volta servito? Che si percepisce la distante acidità appena del vino, il cacao ha comunque un leggero retrogusto dolciastro, il tutto avvolge il maialozzo che è tenero come un pannolino. Scusa la metafora un po’ cacosa, ma ci stava. Insomma, il porco se la sente.
Tanti oink e stay tuna sempre
– Il Disconsiglio: qualcosa di avvolgente, qualcosa di vellutato, qualcosa che faccia atmosfera, ci metterei qualche nota un po’ tristerella. Ci metto un Low, Things We Lost In The Fire, annata 2001