Oh, Halloween, nuova gallina dalle uova d’oro dei gestori dei locali, che hanno importato l’anglofesta giusto perché tanto l’identità nazionale godeva già di ottima salute e perché ogni cosa che viene da fuori e che mantenga il proprio nome non-tradotto è cool e genera una montagna di denari. Ognissanti è troppo un nome da Mio-Nonno e ha scarso appeal sulle vittime del marketing virale. Per entrare in un qualsiasi locale non c’è minimo di 15 euro da tirare fuori dalla saccoccia, spesso senza consumazione inclusa e quando devi consumare non è raro che i prezzi siano ritoccati perché giustamente è festa, ma lo è solo per il resoconto di cassa a fine serata.
Ma, lo sanno anche gli Uomini Con Il Tonno che in queste occasioni c’è da farsi derubare volontariamente e quindi le lamentele sono fuori luogo. Ciò che rende Halloween, almeno qui in Italia, disdicevole è altro. Sono Le Maschere.
Girovaghi per le strade, ti attendi di restare intrappolato in uno scenario da nebbia bassa, tombini che esalano fetide flatulenze, colonne di fuochi fatui che si elevano dal cimitero della città. Temi che da un momento all’altra un Jack Lo Squartatroie di turno ti recida la giugulare con una mannaia. Il giorno rima compri pure dei pannolini di scorta perché prevedi che perderai il controllo del Sacro Sfintere e.
E invece no.
Torni a casa asciutto e pulito.
Halloween non è Halloween.
È Rio De Janeiro.
Carnevale a novembre.
Infermiere sexy che si danno un tocco di macabro con finte emorragie agli angoli della bocca, maggiordomi wannabe-dracula con un’unica dentiera con canini aguzzi a far dedurre le intenzioni originali, astronauti rivestiti di pellicola di cui non si intuisce il motivo d’esser lì (gli astronauti fan paura?), drughi korovamilkiani che i riversano in massa e dovrebbero inquietarmi, ma perché mai? Burgess e Kubrick dovrebbero riemergere dalle viscere per far scempio delle vostre carni, atei.
Di streghe che puzzano di Morte neanche l’ombra. Di deceduti resuscitati come prescrive l’arzillo e apocalittico San Giovanni non se ne sente la putrida scia. Basta tingersi un’orbita scura, pittarsi due ragnatele fatte col culo in faccia e siamo tutti halloweeni trotterellanti. Io, per lo meno, le occhiaie ce le ho sempiterne, figlie di sonni inquieti a rimuginare sul soffritto bruciato due giorni fa o sul soufflé uscito sgonfio dal forno. Le coltivo con cura durante tutto l’anno, i soldi per il trucco me li tengo in tasca.
Troppa sfiga ad Halloween, scambiato per un carevale fuori stagione. Speravo di vedere almeno qualche maschera divertente. Non so, Denver con la faccia di Cristina d’Avena. Qualcuno con il plastico sorriso di Berlusconi tenuto in volto con un elastico. Ma perché non coinvolgere Pantalone, Balanzone, e Brighella? Magari nelle versioni alternative con occhio cavo e lingua dilaniata che penzola dalle labbra? O Arlecchino travestito da It che tenta di addentare la gente per strada col suo ghigno aguzzo?
Sta Gran Minchia. Niente di niente.
Sarebbe meglio che vi procuraste una ferita una settimana prima di Halloween per l’anno prossimo, non la curaste in modo da farla andare in cancrena o in decomposizione e andaste in giro con l’arto pieno di vermi. Sarebbe verosimile, entrereste con tutti e due i piedi nel clima putrescente e maligno della festa. Insomma, sareste credibili, sareste coerenti. Voi la sottovalutate la credibilità. Buffoni.
Morale della fragola: ad Halloween ti rubano solo soldi e incroci per strada individui che, in tempi di non-maschere prenderesti a sprangate.
Faccio calare il sipario esponendo il mio rammarico per l’olocausto di zucche sacrificate in massa per una sola notte: tanti bei potenziali risotti abortiti prima d’essere concepiti.
Io, coerente al mio Senzatonnismo e alla Gonzo Cucina come sono, non mi travesto ad Halloween, tanto meno a Carnevale. Sono già un essere di merda per il resto dell’anno. Ed essendo un essere di merda, controbilancio la mia copronatura preparando una sembra-difficile-ma-non-lo-è torta salata, un’ode con odori all’Autunno. O all’Autonno, che sarebbe la stagione di chi soffre l’assenza di scatolame in casa.
Ok, faceva schifo questa.
Su. Via.
Le danze si aprono pulendo 4 carciofi, ne ricavo i cuori privi della barba e li taglio a tocchetti che immergo in acqua acidulata con succo di limone per evitare che anneriscano. Solite cose che si leggono ovunque.
Rosolo i carciofi con un rametto di rosmarino e un filo d’olio per una decina di minuti così da ammorbidirli e insaporirli un po’. Tolgo dal fuoco e aggiusto di sale.
Stacco le foglie esterne e ne scelgo alcune da lavare e affettare. Sto parlando del radicchio. Lo asciugo poi per bene, particolare necessario per non finire in forno e dar vita a spiacevoli vapori.
Pulisco il topinambur, un tibero simile alla patata e dal sapore vagamente dolciastro prossimo al carciofo. Con quest’ultimo quindi si sposa alla perfezione. Lo passo sotto l’acqua, raschio le parti scure esterne con un coltello e taglio fette ultramegasottili, per favorirne la cottura nel forno.
In una teglia circolare e dai bordi zigrinati, stendo la pasta brisée che non mi sono mica azzardato a fare con le mia manine pinnate, bensì acquistata dopo averla intercettata nell’apposito banco frigo approfittando di un’offerta riservata a possessori di Carta Fedeltà. Non sono una meretrice dei supermercati.
Stesa la pasta, affetto una sontuosa scamorza affumicata, tranci dallo spessore generoso perché devo creare uno strato compatto. Dispongo le fette e, successavamente, le ricopro prima con il radicchio, poi con il topinambur.
Separo due tuorli dai rispettivi albumi contenuti negli altrettanto rispettivi gusci e li verso in due brick di panna da cucina, già precedentemente versati in un contenitore capiente. Furbo sono. Amalgamo per bene e unisco i carciofi. Aggiusto di sale. Verso la mistura sopra i piani fin qui elevati della quiche. Distribuisco la panna equamente su tutta la superficie.
Forno pronto a 200°, il comitato d’accoglienza calorifero applaude l’ingresso in pompa magna della quiche, che sarà ospite della calura per ben 45 minuti, finché la parte superiore non sarà ben cotta e quella inferiore, si spera, non rimanga anemica.
Scaduto il tempo, si spalancano le fauci. Alla faccia degli sfigati di Halloween.
Stay tuna
– In ascolto: Susanna And The Magical Orchestra, Melody Mountain