Dato che la narrazione di questa doppia ricetta sarà lunga quanto il Pentateuco, evito la mia consueta introduzione musicofila, altrimenti qui il brodo s’annacqua e i brodi annacquati fanno schifo alla cacca.
Ho sperimentato due tipi diversi di ricette salate con i pancake, anch’essi provati con due impasti diversi. I due piatti si chiamano così:
– pancake alla canapa, chutney di melanzane, feta greca e sesamo nero giapponese
– pancake al fieno greco, mousse di Robiola di Roccaverano DOP al basilico e zenzero, spuma di risotto alle fave
Vado dritto al Punto G della prima versione, quella con la canapa con l’ingredientume:
Per 20 pancakes
– 2 uova
– 150 g di farina 00
– 50 g di farina di canapa satinata
– 250 g di latte
– 40 g di olio di semi di girasole
– una bustina di lievito
Per il chutney
– 300 g di melanzane lunghe e senza semi
– 500 g di pomodoro ramato o San Marzano
– 70 g di zucchero di canna
– una mela Fuji
– 100 ml di aceto di vino bianco
– un cucchiaino di grani di senape
– un cucchiaino di semi di finocchio
– un cucchiaino di curcuma in polvere
– mezza cipolla rossa
– uno spicchio d’aglio
– 50 g di olio extravergine d’oliva
Poi
– Feta greca
– Sesamo nero giapponese
Come si fa?
Per una tale odissea fornellesca, prima di iniziare, faccio flessioni, stretching e 10 km di corsa. Arrivo così pronto per la preparazione del chutney, che faccio il giorno prima.
In primis, afferro i pomodori che, tremanti e sgomenti, mi implorano di risparmiarli ma, ahiloro, non risparmio un bel niente. Venite qua, pagliacci: v’incido leggermente la pelle e poi a sbollentare in pentola per un minuto. Vi tiro fuori, vi pongo sotto un getto d’acqua fredda, vi spello e taglio a cubetti. E vi metto da parte. Per ora.
Ghermisco la melanzana, ne basta una bella cicciuta. In quattrequattrotto-seipersediciquarantadue la taglio a cubetti, due centimetri per lato circa. Ora non chiedetemi d’essere precisissimo, mi avvalgo di un margine di errore di qualche millimetro.
In una casseruola verso l’olio extravergine d’oliva e ci fiondo la cipolla tagliata a fette e l’aglio schiacciato – a cui ho asportato il germoglietto o anima interna durante un rituale voodoo e che ho scafazzato con lo schiaccia-aglio che trattiene la fibra esterna. Faccio soffriggere leggermente senza far bruciare, mannaggia, e poi catapulto le melanzane, che faccio dorare.
Nel frattempo, in un mortaio, adagio: curcuma, semi di finocchio e grani di senape e li pesto con olio di gomito di tonno. Dopo aver versato sudori figli d’una fatica inusitata, che faccio? Gioco a briscola-a-mazzi? Niet: aggiungo alle melanzane sia il pomodoro che la mela Fuji che ho già sbucciato e tagliato a cubetti, più o meno della stessa grandezza delle melanzane, righello alla mano. Se le dimensioni non combaciano, è consigliabile consultare un geometra alimentare.
Quando melanzane e pomodoro e mela iniziano a disfarsi – prolungo la cottura con dell’acqua tiepida qualora il tutto s’asciugasse e v’assicuro che s’asciuga quindi non potete allontanarvi per andare a leggere Chi sul divano del salotto – e ci vorranno circa 45 minuti, aggiungo sia le spezie scafazzate al mortaio, sia l’aceto, sia lo zucchero. Troppi sia e così sia.
Continuo la cottura finché non ottengo una poltigliuzza simpatica dolce ma anche un po’ agro. Metto in frigo una volta raffeddato (il chutney).
Il giorno seguente, dopo aver dormito alacremente, in una ciotola verso tutti gli ingredienti che amalgamo fino a ottenere una pastella estremamente densa che verso in uno di quei, sapete gli squeeze, quelle bottigliette di plastica in cui si ficcano ketchup e maionese col beccuccio forato? Ecco, in uno di quelli e, in una padella antiaderente che deve raggiungere la temperatura della Gehenna e in cui sciolgo una nocinapiccina di burro che spargo sulla superficie della padella con l’aiuto di un pezzo di carta assorbente, sputacchio l’impasto creando una spirale senza però lasciare spazi tra un segmento e l’altro. S’è capito? No. Ok, versatelo con un mestolino e fate prima ottenendo delle frittelline che, con l’aiuto di una paletta, dovrete rivoltare una volta dorati-marroncinati da un lato per poi dorare-marroncinare dall’altro.
Sono quasi al termine, devo solo passare la feta greca tra i semi di sesamo come quando si pana il porco per la cotoletta. Ecco, devo fare una simil-panatura di sesamo quindi, mia cara feta, vai a grufolare tra i semini, lanciati e voltati e rivoltati e grugnisci e quando i tuoi sei lati, dato che ti ho tagliata a cubetti, sono puntinati di nero sesamo, ecco che posso deporti sopra il chutney che è a sua volta assiso sul pancake.
***
Sono già neurologicamente stanco, ma non posso lasciare il discorso a metà, mi fiondo quindi sulla seconda versione, quella con fieno greco. Anche qui ingredienti a iosa:
Per 20 pancakes
– 2 uova
– 200 g di farina 00
– due cucchiaini di fieno greco in polvere
– 250 g di latte
– 40 g di olio di semi di girasole
– una bustina di lievito
Per la mousse di Robiola
– 250 g di Robiola di Roccaverano DOP
– 80 g di basilico fresco
– mezza radice di zenzero
– un filo d’olio di semi di girasole
Per la spuma di risotto alle fave
– premessa: ci vuole il sifone che tenga il bagnomaria. Se da mezzo litro, queste dosi vanno bene, se da un litro, dosi da raddoppiare
– 80 g di riso carnaroli
– 100 g di fave fresche
– 15 g di burro
– 1 litro di brodo vegetale (una carota, due gambi di sedano, una cipolla, una foglia di alloro, sale)
– 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
– 50 ml di panna fresca
– sale
– pepe
Come si fa?
Per la pastella dei pancake al fieno greco vale lo stesso procedimento della prima ricetta, si uniscono e mescolano tutti gli ingredienti in una bastardella. Amen.
La cosa più lunga e complessa è qui la spuma di risotto. Che si fa partendo da un normalissimo risotto: sgrano le fave e le scatafotto in una ciotola. Poi sciolgo il burro nella mia fida pentola di rame stagnato dove faccio tuuuuuuuuutti i miei cazzo di risotti, tosto il riso, aggiungo il brodo a colpi rotanti di mestolo, insomma, la consueta tiritera. Le fave le aggiungo a metà cottura, che di solito è 8-9 minuti. Quando il riso è cotto a puntino-ino-ino, aggiusto di sale, manteco con una noce di burro.
Ecco, ora c’è la parte sgrawfhjassadsmòlgds: afferro sto risotto e lo ficco nel bicchiere del minipimer, insieme a un paio di mestoli di brodo vegetale. Piglio il minipimer, lo ficco nel bicchiere dove c’è il risotto e: frlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrl. Frullo. Frullo fino a ottenere una crema liscia che però totalmente liscia non sarà, quindi devo passarla al chinoise. Ora sì che è liscia, senza grumi. Eccheccazzo. Alla crema densa e liscia di risotto che ottengo, aggiungo la panna, amalgamo per bene, mi gratto un’ascella, mi turo un orecchio. Metto il composto di risotto e panna nel sifone da mezzo litro, lo carico con una cartuccia e lascio a bagno maria a 50-60°.
La mousse di robiola è troppo semplice, mi vergogno quasi a raccontarvela ma ve la racconto lo stesso, che poi mi denunciate per omissione di passaggio di ricetta: nel bicchiere del minipimer, lo stesso di prima ma adesso lavato – ne ho uno solo, sono un povero, santocielo – lavoro la robiola con la forchetta e un filo d’olio extravergine d’oliva, poi aggiungo lo zenzero e il basilico, il primo grattugiato e il secondo tritato finememememememente. E poi frullo: frlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrl.
Ah che bello, mi pare quasi di aver finito. Creo i pancake al fieno greco in una padella caldissima come l’inferno e la sua anticamera e poi assemblo. Pancake, mousse di robiola, pancake, mousse di robiola, pancake e spruzzo di spuma di risotto. Mi raccomando, prima di spruzzare co sto cazzo di sifone, agitare e fare il primo spruzzz in una ciotolina accanto, c’è sempre del gas a zonzo.
Bella lì.
Stay tuna