Da un pezzo avevo in testa di buttar giù quattro righe sulla fauna da supermercato, quell’affascinante zoo di cui faccio parte quasi quotidianamente popolato da strani animaletti dai comportamenti simpatici e irritanti allo stesso tempo. Immersi nelle loro liste, rapiti da sconti imperdibili, convinti che carrelli sempre più larghi vadano riempiti fino all’orlo con qualsiasi cianfrusaglia, gli Animaletti del Supermercato sono tanti e variegati, saltellano in una selva di neon abbacinanti e fluorescenti mentre in diffusione, anziché rilassanti scrosci di cascate e canti di uccelli della foresta pluviale, ci sono le peggiori hit radiofogniche in circolazione.
Ammetto di spiare con discrezione carrelli e cestelli altrui per carpire come si nutrono gli animaletti che mi circondano. Spesso ne resto profondamente deluso, soprattutto se è una gran bella fringuella a comprare il dado. Sono un guardone da corridoio-dei-latticini e mi appollaio accanto al banco-formaggi fingendo di riflettere se è meglio il Salva Cremasco o il Taleggio per un risotto con la scarola. Ma in verità: scruto.
Anni e anni di osservazione nella giungla supermercatesca mi hanno indotto a individuare un per niente esaustivo bestiario della fauna, suddiviso in base ai comportamenti che ne connotano la specie. Tipo:
– I vecchi rimbambiti, onnipresenti in ogni dove e a breve anche in discoteca o ai concerti metal, che danno il meglio al cospetto della bilancia pesa-verdure. Non capendone il funzionamento – o non trovando il tasto o non accorgendosi che è finita la carta del rullo – parlano alla macchina, le domandano Perché Non Funzioni? nella speranza che qualche voce da cherubino fuoriesca dallo strumento.
– Come contraltare, ci sono i vecchi tracotanti, che non ti vedono o fingono di non vederti mentre spingono il carrello e ti incidentano senza chiedere scusa, anzi, è colpa tua se occupi uno spazio nel mondo.
– I papà che, per far star buono i figlioletto che stanno (dis)educando a suon di vizi, usano il carrello come un go kart nel supermercautodromo. E anche loro, ti si schiantano addosso (ma a volte chiedono scusa, però poi il figlio ti spernacchia in faccia).
– Il manager che continua pedissequamente a parlare d’affari anche in pausa pranzo. E a volume sconquassatimpani-ma-anche-sconquassacoglioni. Il bìsnes non mangia mai.
– La cinquantenne botulinica che durante l’attesa in salumeria non s’è degnata di decidere cosa prendere e quando arriva il suo turno, dopo aver chiesto vitamortemiracoli di qualunque articolo mettendo a dura prova preparazione e pazienza del salumiere, con tono finto-cortese, ordina solo 6 fette di San Daniele.
– I fissati coi cibi light, senza zucchero, senza grassi, tuttofree. Non infierisco ulteriormente.
– Gli sbadati che dimenticano di prezzare la frutta e alla cassa, quelli dell’Ah non lo sapevo: ciao, benvenuti nel benessere fai da te. Ovviamente, la fila si blocca per interminabili oreminutisecondi.
– I furbetti del SaltaLaFila appena viene annunciata l’apertura della cassa accanto: scatto felino da centometrista e tu resti inculato dietro la famiglia peruviana che ha riempito il carrello ben oltre la sua normale capienza per sopravvivere all’imminente inverno nucleare.
– Quelli che comprano i profilattici, che si dividono in due sottocategorie: gli spavaldi-che-scopano-e-ci-tengono-a-mostrarlo-con-fierezza e gli imbarazzati che, con rapace allungamento del braccio, ghermiscono il pacco traslucido e lo infilano nel sacchetto non appena la cassiera lo passa. É dura la vita dei trombeur de femmes.
– Gli ingegneri nucleari delle etichette, sviscerano ogni lista di ingredienti con un’espressione tra l’attento e lo sgomento come se stessero osservando al microscopio la fissione di una pericolosissima carica batterica. C’è chi cerca i termini sull’enciclopedia online (#truestory).
– Quelli che prima imbustano tutto e poi, con estrema calma, se gli va, se si ricordano, se proprio devono: pagano.
– Quelli che dimenticano a casa la tessera fedeltà e vogliono usufruire dello sconto valido solo per chi esibisce la tessera, chiedono alla cassiera se può risalire al loro nome, fingono acquiescenza di fronte al Non Posso, Mi Dispiace e tornano immediatamente alla carica chiedendo ugualmente lo sconto. E all’ennesimo “non posso, mi dispiace”, recriminano con un mai fuorimoda “è un sistema ingiusto, questo” (#truestory2)
Mi fermo qui ma se ne avete altri scrivetemi, mi raccomando. Adesso faccio un saltello a pie’ pari, scatto ripetutamente la testa in avanti come fanno le galline quando beccano i vermi al suolo e vi annunzio, cari Follouissimi, che adesso cucino.
E cosa vi cucinerò mai questa volta? Una cheesecake? No!! Un uovo al tegamino? Nemmeno!! Un arrosto di seitan?? Giammai!! Un lampredotto vegano? Giammarco!!
Vi faccio un risotto. Non troppo difficile, semplice, di quelli che non ti stressano l’anima, insomma, un Risotto con scarola, taleggio di capra, aceto balsamico di Modena IGP e bresaola della Valtellina IGP.
Dalla regia mi dicono che devono entrare in scena Gli Ingredienti (dosi per 4 pterodattili antropomorfi):
– 400 g di riso Carnaroli
– un cespo di scarola
– 300 g di taleggio di capra (se non lo trovi, va bene quello di latte vaccino)
– 3 cucchiai di aceto balsamico di Modena IGP
– 1,5 l di brodo vegetale (con 2 carote, una cipolla, 3 gambi di sedano, una bietola, una foglia di alloro, sale)
– qualche fetta di bresaola della Valtellina IGP tagliate molto sottili
– burro chiarificato e classico
– sale
Si noti, nei risotti non uso né cipolla nel soffritto, né il vino per sfumarlo, ma se proprio non vuoi farne a meno, usali.
Agguanto le verdure per il brodo, le sbuccio, le lavo e le ficco in pentola, porto a ebollizione per 30 minuti, filtro, salo, saluto.
Nella mia consueta pentola di rame stagnato, sciolgo una noce di burro chiarificato, catapulto il riso, che tosto e appena mi fa cenno agitando i chicchi, lo inondo di brodo, mestolate e mestolate, non troppe, ogni coppino, in teoria, sono 2 minuti di cottura, secondo il mio piano cottura.
Mentre continuo a cuocere sto benedetto riso, taglio e lavo e asciugo le foglie di scarola. Il tempo complessivo di cottura è di circa 18 minuti ma per non disfare troppo la verdura (cioè la scarola), la aggiungo quando mancano 4 minuti allo spegnimento della fiamma. Necessita una cottura brevissima per restare un po’ croccante.
A 16 minuti di cottura aggiungo il taleggio che ho tenuto per un paio d’ore fuori dal frigorifero e un minuto più tardi, azzicco l’aceto balsamico. Spengo la fiamma e manteco con una noce di burro classico che ho tenuto in freezer, quindi è ghiacciato. Aggiusto di sale.
Impiatto e come guarnizione, adagio con canti di gloria e giubilo una julienne di bresaola della Valtellina, quella buona, a crudo, per non rovinare il suo sacro e affascinante sapore. E alla fine la vita mi sorride ma io le risponde facendole una Gran Pernacchia.
Stay tuna