Sciatt à Porter, viale Monte Grappa 18, Milano
Il primo incontro ravvicinato con gli sciatt l’ho avuto un paio di mesi fa durante un viaggio-stampa in Valtellina alla scoperta della bresaola IGP.
In quell’occasione arrivarono un po’ freddi e quindi l’emozione colesterolica della deflorazione sciattica si perse in bocconi vagamente stantii. Succede che una sera vado a cena con un’amica, si passa da viale Monte Grappa e faccio Toh, Qui C’è Sciatt Á Porter Devo Andarci e l’amica rilancia Vacci, Conosco Emma!
Non so chi sia Emma ma il giorno dopo, dritto come un Playmobil, compaio sull’uscio di Sciatt Á Porter con un’altra amica. No, non è come pensate voi, state calmi.
Prima di elogiare la gentilezza dei solerti camerieri, due piccoli cenni storici: Sciatt Á Porter nasce come ape da street food che serviva (serve?) coni con gli sciatt. Ispirato alla tradizione culinaria valtellinese, il progetto s’è esteso e nel 2013 è diventato un ristorante-bistro che propone i piatti tipici della Valle. Tipo: pizzoccheri fatti in casa, polenta mantecata con burro e formaggio, taroz (patate e fagiolini schiacciati mantecati con formaggio Casera), chisciol (frittelle di pastella di grano saraceno) e una sfliza di bresaole.
Argh! Voglio mangiare tutto ma mi conterrò. Dicevo dei camerieri: gentili ma d’una gentilezza spontanea, non quella affetta da quei sorrisi-professionali-che-si-fermano-agli-zigomi-e-che-non-arrivano-agli-occhi sottolineati da David Foster Wallace, no no, niente dito-in-culo, questi ti trattano bene senza innaturalezze varie. E quindi hanno già guadagnato dei punti.
Una volta seduti, uno dei camerieri arriva porgendo un cesto e ci invita a scegliere un tovagliolo: io pesco quello giallo, Alice – la mia amica, ve l’ho già detto – quello verde.
Vabbè, ma si ordina o no? Sì. Arriva un calice di vino “speziato” a testa di cantina ignota. Buono, senza pretese.
Tempo d’attesa irrisorio e sotto la mia barba ben idratata e pettinata compare un piatto di sciatt. Non v’ho detto cosa sono: cubi di formaggio Casera non stagionato abbracciato da una pastella di grano saraceno e farina bianca impastati con birra o acqua frizzante. C’è chi ci mette anche la grappa. E poi, neanche a dirlo: si frigge. Bentornato Colesterolo, dove sei stato ultimamente?
Tradizione vuole che si accompagnino con del cicorino condito. Bene, io evito l’uso delle posate e vado di mani, uno a uno faccio fuori gli sciatt, lievemente unti e molto croccanti, il formaggio dentro fila e a ogni morso sento le endorfine dipanarsi.
Ottimi e per niente salati. Stermino anche il cicorino senza alcuna pietà, giusto per dare un tocco di verde salubrità al mio pasto.
Io farei un gran rutto di soddisfazione ma la saletta s’è riempita quindi continuo a conversare con Alice. E a seccare il vinello, che cala con piacere. L’ambiente è accogliente, una sorta di baita minimale e postmoderna tutta giocata sulle sfumature del grigio che richiama la pietra delle Alpi.
Cosa succede adesso? Pensate che il mio pasto fosse finito con delle frittelle? Ahahahah, siete matti. Ho ordinato un bel vassoio di bresaole, nella fattispecie: slinzega (una bresaola un po’ più stagionata, quindi più secca), di cervo (sì, di quell’animale lì), affumicata, punta d’anca e Morbegno (che è un paese della provincia di Sondrio che, per antonomasia, da il nome alla varietà). Alice deve fronteggiare un taroz con “rostidush”, ovvero cipolle caramellate, ci dice il cameriere.
Io attacco ed è un climax di minchia-che-buona-oddio-che-morbida, bresaole tutte fresche di taglio e dall’ottima consistenza. Come m’hanno insegnato in Valtellina, si mangia “santa”, ovvero senza stupri con fili d’olio e macinate di pepe o ancor peggio con spruzzi di limone. In Sicilia diremmo: schitta (il contrario di maritata).
Do anche una forchettata al taroz di Alice che mostra tutto l’avvincente timbro caseario del Casera immediatamente, saporito ed elegante nella sua rusticità ma davvero impegnativo mangiare una scodella intera come quella. Io finisco le bresaole, quella di cervo interessante, accompagnandole con del pane di segale (e fatto con lievito madre, si sente l’acidità).
Caffè e si sgomma via per strada, non prima però di aver fatto un pit stop alla cassa: 54,50 € in due, c’è anche una boccia d’acqua. Ce lo possiamo accollare.
Stay tuna