Questo articolo non è una marketta retribuita
Il problema etico, economico e ambientale della produzione di carne è ormai insostenibile. Con la crescita della popolazione mondiale e l’aumento della richiesta di proteine animali da parte di economie in rapido sviluppo (India e Cina su tutti), soprattutto come status symbol di un acquisito benessere, sta dando un’ulteriore spinta alla proliferazione di allevamenti intensivi e di tutto l’indotto a essi connessi. Immissioni di metano e anidride carbonica nell’aria (soprattutto negli allevamenti bovini), consumo abnorme di acqua, disboscamento per la creazione di monocolture per la produzione di mangimi, l’elenco dei contro può interrompersi anche qui per mostrare quanto siano nefasti.
Quindi, per risolvere uno dei più grandi problemi in scala globale qualcuno sta tentando una via che non sia quella di ficcare larve e grilli nel piatto. Ovvero, creare carne in laboratorio.
Partiamo dall’inizio.
Comincia (pubblicamente) tutto il 5 agosto 2013, quando lo chef Richard McGowen, in diretta televisiva da Londra, di fronte a giornalisti e studiosi, cucina un hamburger di carne ottenuta senza uccisione di nessun animale. Oltre 3.000 strisce di fibra muscolare create artificialmente assemblate in una polpetta. Le cellule staminali prelevate da una vacca furono coltivate in laboratorio immerse in un siero che e favoriva la moltiplicazione mediante elettrostimolazione. La stessa tecnica utilizzata per creare tessuti umani a scopi scientifici. Costo dell’operazione: 250.000 dollari. Per mezzo chilo ci volevano 1,2 milioni di dollari. Oro.
Il nume tutelare della faccenda era Mark Post, fisiologo dell’Università di Maastricht che sosteneva che per produrre il suo hamburger si sarebbero impiegati il 90% di acqua in meno e si sarebbero emessi tra l’80% e il 95% di gas in meno rispetto alla produzione tradizionale.
Di questa cosa ne scrissi 4 anni fa quando collaboravo con Dissapore e feci anche l’elenco di alcune start up che allora parevano destinate a restare nell’ombra per almeno un decennio: Impossible Food, Beyond Meat, Muufri, Hampton Creek (adesso si chiama Just). Non solo carne ma anche latte e uova creati senza sfruttamento animale. Da basi vegetali.
Un settore avveniristico che ha attirato le attenzioni di investitori di lusso come Bill Gates e Leonardo DiCaprio. Perfino l’agguerrita PETA, nel 2008, ha offerto 1 milione di dollari alla prima azienda che sarebbe riuscita a commercializzare in 4 anni carne di pollo coltivata, allentando così la pressione su uno degli animali più torturati nell’industria zootecnica. Insomma, una roba grossa con un giro di circa 6 miliardi di dollari. Meow.
É passato più di un lustro da quella dimostrazione pubblica e adesso l’hamburger “impossibile” approda in Italia. Già da un anno ha scardinato le barriere della GDO statunitense arrivando sugli scaffali di Walmart e l’obiettivo adesso è diffondersi nella ristorazione di massa, tant’è che Burger King – sì, la catena di fast food – dopo averlo testato con successo tra i consumatori, sta per lanciare definitivamente l’Impossible Whopper, il burger di carne sintetica prodotto da Impossible Foods. Il paradosso del Capitalismo che è nel contempo causa e soluzione del problema: un’azienda che ha contribuito alla diffusione di un modello morboso come quello degli allevamenti intensivi che propone una soluzione “etica” e “pulita”. Incredibile.
Certo, sul pulito qualcuno avanza dubbi e un recente studio pubblicato su Frontiers in Sustainable Food Systems sostiene invece che il ridotto impatto sull’ambiente dipenderà da come verranno alimentati i laboratori. Gli oppositori già non mancano, anche in Italia, Coldiretti e AssoCarni hanno fatto sapere che non sosterranno un settore che, inevitabilmente, potrebbe intaccare i loro associati.
Se volete approfondire la faccenda, in basso alla pagina trovate un po’ di link sparsi, io mi sono dilungato fin troppo anche perché il vero movente di questo articolo è l’assaggio di sto benedetto hamburger.
A Milano è stato “in prova” da Well Done e adesso è in menu soltanto in due locali: Avo Brothers e The Meatball Family. Il burger è quello di Beyond Meat, la carne è il risultato di un processo che parte dai piselli.
Scelgo The Meatball Family, in via Vigevano 20. Sono col mio compagno di merende Pietro – che se seguite le mie Stories su Instagram saprete già chi è: il mago – che mi fa attendere da solo al tavolo per tre quarti d’ora, di cui una piccola parte occupo mangiando un cestello di (ottime) patatine fritte. É l’ora di pranzo e ci sono soltanto 3 tavoli con clienti masticanti in sala.
Al solerte cameriere dico che ho già le idee chiare su cosa ordinerò: il Beyond Burger che svetta sulla lavagna affissa sulla parete. Sono 14 € ed è abbinato un cestello di patatine. Un altro.
Pietro arriva e mandiamo l’ordine rapidamente. L’attesa è breve, una decina di minuti.
Atterra sul tavolo un piatto rettangolare con un minigrattacielo di latta con dentro le patatine e tre paninetti che portano rispettivamente in grembo una polpetta, una fetta di pomodoro, del pesto di basilico e crema di cheddar.
Prendo in mano un paninetto. Lo osservo. La rosolatura esterna della polpetta, alla vista, non sembra così distante da un piccolo burger di carne “normale”.
Mordo.
Se mi avessero bendato non avrei mai detto che ciò che avevo appena messo in bocca non fera carne e vera e propria. Chiunque sia stato a Catania e abbia assaggiato le polpette di carne di cavallo, coi dovuti distinguo, ricondurrebbe il sapore proprio a quello. Gli si avvicina per una timida dolcezza, è meno speziata e agrodolce – a Catania le polpette si servono col “salmoriglio”, un’emulsione di olio e aceto di vino rosso sparso sulla carne che sfrigola sulla graticola con un fascio di rametti di origano.
Guardo l’interno della polpetta, lo spaccato del morso rivela un trito fitto fitto, come se la carne fosse stata ripassata tre volte al macinino.
Schiaccio un attimo per vedere quanti succhi contenga, non tantissimi ma non è nemmeno secco. In bocca è piacevole, morbida. Manca però qualcosa, che credo sarà veramente difficile riprodurre per filo e per segno: la grassezza. Quei fisiologici pezzettini di grasso che, col calore, lubrificano la carne rendendola più succulenta. Ma devo ammettere che il risultato finale è molto prossimo a un hamburger “canonico”. Anche le salse di accompagnamento giocano a favore, non sono troppo invadenti e danno alla polpetta quella grassezza che le manca di suo.
Per me è pollice in su.
Adesso, non so quanti vegetariani/vegani che si sono allontanati dalla carne per scelta etica potrebbe tornare a mangiare qualcosa che abbia il sapore di un alimento per cui si nutre un forte disgusto. Spesso il rigetto etico si accompagna anche a un rifiuto gustativo e confrontandomi con alcuni amici vegetariani la domanda che mi è stata posta di rimando è: Perché dovrei mangiare una cosa che sa di carne? Non ne sento il bisogno.
Ma non tutti sono così integerrimi e sicuramente la carne “cruelty free” potrebbe prendere comodamente il posto di nefandezze come i “salumi vegani”, veri insulti al gusto (così come tantissimi formaggi vegani, autentiche oscenità).
Le obiezioni però non arrivano soltanto da chi la carne non la mangia bensì – soprattutto – da chi la apprezza. E qui il problema non è tanto di gusto quanto di concetto. Perché un onnivoro dovrebbe mangiare della “carne finta” fatta in laboratorio con chissà quali oscuri procedimenti chimici e fisici? Be’, amici, vi dico una cosa: se siete abituali clienti dei supermercati e mangiate prodotti industriali, non soltanto carne allevata a suon di antibiotici ma anche cibi precotti e pronti all’uso, le cui liste di ingredienti sono chilometriche e rigogliose di voci inconoscibili come, ad esempio, “aromi naturali” che nella stragrande maggioranza dei casi racchiudono decine di sostanze chimiche, avete ben poco da obiettare. Di cibo “finto” vi nutrite tutti i giorni, di cordon bleu e crocchette di pollo la cui composizione è distante anni luce dall’animale di origine ne avrete mangiati a tonnellate con l’illusione di avere tra le fauci veramente manzo o pollo, perché dovreste rigettare un hamburger dichiaratamente fatto in laboratorio? Per lo meno nessuno vi sta prendendo smaccatamente per il culo.
Stay tuna
LINKOGRAFIA
Repubblica: La carne sintetica si mangerà nei fast food
Ansa: Business da 6 miliardi di dollari
Horecanews: No a carne sintetica in Italia
Il Post: A che punto siamo con la carne sintetica
Plantbasednews: Leonardo DiCaprio brands vegan meat “The Future”
Guardian: The goal is to remove animal from meat production