L’Oste della Bon’Ora (temporary restaurant) @ Eataly Smeraldo, piazza Venticinque Aprile 10, Milano
Quando Gianluca di Foodda Communication mi ha inviato l’email con l’invito e la presentazione del progetto, mi si sono rizzati gli antennini. Vado sempre meno agli eventi stampa e alle kermesse di blogger in cui si mangia tanto (aggratìs), non per tirarmela, ma perché francamente di mangiare a costo zero non me ne frega nulla. E, soprattutto, perché preferisco andare là dove si prospetta “un’esperienza” e non solo rispondere alla domanda Che Mangio Stasera?
Onestamente non conoscevo Massimo e Marisa Pulicati, rispettivamente oste e chef de L’Oste della Bon’Ora. Il ristorante si trova ai Castelli Romani, a Grottaferrata, nei pressi di Roma. Segnalato sulle guide gastronomiche più importanti, dalla Michelin al Gambero Rosso, il locale va spedito sul binario della tradizione romana dura e pura, senza ritocchi o velleità gourmet. Ma io non sono a Roma bensì a Milano, in piazza Venticinque Aprile, al secondo piano di Eataly Smeraldo. In una stanza con le pareti a vetro è stato allestito il temporary restaurant dell’Oste della Bon’Ora, dall’1 al 28 febbraio.
I posti sono circa una ventina, 13 corrono intorno al bancone che si affaccia direttamente sui fuochi e la zona cucina, come in un sushi bar, in cui Marisa e il giovane aiuto-cuoco Federico preparano i piatti del menu.
Massimo è corpulento e dallo sguardo severo ma bonaccione. La giacca rossa lo rende simile a un Mangiafuoco senza la barba fluente. Sono con un’amica e ci fa accomodare proprio davanti alla piastra in cui i piatti vengono rifiniti.
La carta prevede solo 9 portate, ovvero 2 antipasti, 3 primi classici della cucina romana, 2 secondi, un contorno e la “dolce crema di Marisa” inserita nelle ricette di Osterie d’Italia di Slow Food.
La partenza è leggera, arriva in pochi istanti la crema di ceci con crostini al rosmarino la cui densità è perfetta e in cui c’è un bel gioco tra il dolciastro del legume e l’amarognolo dell’arbusto. Accompagna il tutto un calice di Altalanga Extra Brut.
Gli sgabelli adiacenti sono quasi tutti occupati e man mano che si liberano arriva qualche altro cliente. Massimo è uno di quelli che non le manda a dire, attacca bottone con tutti col suo accento romano marcatissimo. Sotto l’aura da istrione si nota la bontà di un uomo che gratifica chi gli sta intorno – “è un cuochetto, ha fatto o’ stage da noi e ce lo semo tenuto: è bravo” indicando Federico, l’aiuto-cuoco diciannovenne, con un tono paterno.
Marisa è più riservata, molto concentrata nelle sue operazioni, quasi timida se le si rivolge la parola ma ha una gentilezza semplice, per niente fittizia o affettata, ti sorride come lo farebbe la mamma. Mi sembra una coppia ben bilanciata e assortita.
Poco dopo arriva la tartare della Granda battuta al coltello con cavolo rosso marinato all’arancio. Essenziale e senza fronzoli arricchita dalla nota agrumata che rinfresca la bocca.
Accanto a noi arriva una coppia di sessantenni, un uomo e una donna, ceto alto, parlano di business. Davanti a me, però, succedono cose più interessanti, tipo che scopro come da L’Oste della Bon’Ora si preparano cacio e pepe e carbonara, c’è un trucco: aggiungere dell’acqua frizzante fredda rispettivamente nel pecorino e nel tuorlo-e-pecorino in modo da ottenere una purea molto densa e stabile che, una volta messa in padella con la pasta, si scioglie e si amalgama creando una cremina.
Il risultato per entrambi i piatti è stupendo, pasta cotta perfettamente e tasso di goduria elevatissimo.
Ci viene servito anche un terzo assaggio di primi, l’amatriciana, anch’essa impeccabile nei bilanciamenti e nelle consistenze.
La signora della coppia di sessantenni seduti più in là, però, ha da fare le sue rimostranze: la pasta “erano proprio due forchettate, eh, se devo mangiarla, devo mangiarla bene”. La porzione era la stessa che ci è stata servita, tipo 120 g, mica una robetta da nulla ma il tono fastidioso, nonché stizzito rende la protesta simile a un pizzico sulle palle. Massimo non si scompone, con una flemma da oste navigato, ingiunge a Federico di fare un’altra cacio e pepe per la signora. La offre anche all’uomo che, con uno slancio da vero principino, dice che a lui “neanche piace la cacio e pepe, la assaggio per non offendervi”. Be’, risposta da gran duca.
Ad ogni modo, chiuso il siparietto, qui si va spediti con dei saltimbocca che prepara la stessa Marisa, la carne è morbida e il prosciutto da la sapidità che serve al piatto.
Chiudiamo, ormai saturi come ovetti, con la crema dolce di Marisa, leggiadra e dall’azione sgrassante, dolce senza rendersi stucchevole.
In tutto questo, si chiacchiera e ci si fa quattro risate con Massimo autentico mattatore della serata.
Avete tempo fino al 28 febbraio per farvi una bella mangiata, altrimenti vi toccherà andare a Grottaferrata dove lo spirito goliardico e il buon cibo restano immutati.
Stay tuna