Berberè, via Sebenico 21, Milano
C’è un’amica di Roma che arriva a Milano per lavoro e ispeziono gli appunti del Buon Ispettore della Guida Minchiolìn quale ormai rinomatamente sono. Dove la porto? Qui? Lì? Là? Quaggiù? Quassù? Toh, Berberè! Lei a Roma non c’è mai stata, io a Milano ancora no nonostante il fragoroso chiacchiericcio dall’inaugurazione, il 29 settembre (ma l’apertura è stata il 4 ottobre), a oggi.
Tutti vanno da Berberè, tutti dicono che sta pizza è stratosferica. Devo fidarmi? Io mi fido poco delle genti, spesso ho preso sòle d’un certo calibro lasciandomi affascinare dallo storytelling entusiasta di amici e colleghi che guarda-quel-posto-è-davvero-incredibile e poi d’incredibile mi restava solo un polveroso pugnetto di delusione.
Berberè è la creatura dei fratelli Matteo e Salvatore Aloe che dopo aver aperto 4 pizzerie di successo tra Bologna, Castel Maggiore, Firenze e Torino approdano a Milano. La filosofia è semplice: far gustare al cliente una pizza artigianale lievitata con i giusti tempi e con prodotti di qualità, giocando con gli abbinamenti e uscendo fuori dai confini della tradizione: gourmet ma con criterio.
Prenoto un tavolo per due e appena le dieci dita dei miei piedi stanno già calpestando il pavimento di Berberè ai piani alti del mio corpo, ovvero il naso, arriva un supremo profumo di pizza. Di quella buona.
Do un’occhiata all’ambiente: ci sono due sale comunicanti, stile sobrio e anni ’50 dal vago sentore shabby-chic, i tavoli hanno il piano color smeraldo e all’ingresso un lungo bancone in marmo costeggia l’area lavoro dei pizzaioli come un sushi bar. Sono le 21.40 ed entrambe le sale sono piene.
Io e la mia amica ci accomodiamo e riceviamo i menù, che oltre alle portate presenta alcune note. Tipo: che le pizze sembrano piccole solo perché sono stese meno rispetto alle tradizionali, ogni disco pesa 280 g; che si usano farine biologiche; che non si fanno modifiche alle pizze; che ci sono ingredienti di Presidi Slow Food.
Ordiniamo al cameriere che scopriamo essere pugliese, come lei, ovvero la mia amica la cui missione è scoprire da dove proviene la burrata che abbiamo appena richiesto come antipasto. Non si darà per vinta finché non lo saprà. E inoltre rivela al cameriere che sono un fudbloggah, errore gravissimo: infatti, come prescrive la Prima Regola del Fud Club: mai dire al cameriere che sei a cena con un fudbloggah. Io nei locali ci vado in incognito. Non so se la perdonerò mai.
Vabbè, la perdono.
C’è anche un tomino con speck, composta di pere e aceto balsamico tra le nostre scelte per iniziare. Per le pizze optiamo per la formula Menu Condivisione, ovvero ci porteranno al tavolo prima una pizza poi l’altra in modo da poterle dividere. Una bottiglia d’acqua microfiltrata per lei – ma dovrò idratarmi anch’io – un calice di Rundinera bianco per me perché voglio vedere come ci sta con le pizze ordinate. Alla fine i calici che berrò saranno due. Sono a piedi, eh.
L’attesa è breve, atterrano gli antipasti. Lo speck parcheggiato sul tomino è eccellente, bello il contrasto con la dolcezza della composta di pere.
La burrata è nella norma, l’acciuga sale spesso in cattedra. Il pane d’accompagnamento è buono e fragrante ed è fatto con lievito madre, la punta acida si sente a una rapida annusata.
Si chiacchiera alacremente, nel frattempo la Roma vince in Europa League.
Toh, guarda chi c’è? Sembri sbucata da sotto il tavolo, che bellina che sei! Ah no, l’ha portata la cameriera. Prima pizza (arrivano già tagliate a spicchi): prosciutto crudo San Daniele, burrata, olio d’arancia, fiordilatte. L’impasto è al kamut, dietro consiglio del cameriere, il Pugliese.
Be’, devo dire che c’è parecchia pettineria, l’impasto è morbido ma friabile nel cornicione, che ha una simpatica alveolatura, come testimonia la diapositiva scattata da me medesimo.
L’insieme di ingredienti è ottimo e la nota agrumata dell’olio rinfresca il bolo, sposandosi abbastanza bene col vino che sto sorseggiando.
Bravi, Berberè, ma non è finita. Dov’è la seconda pizza?
Passa una decina di minuti e plana sul tavolo la seconda: zucca cotta al forno, funghi di bosco saltati, parmigiano reggiano, fiordilatte e olio alla salvia.
Minchia, qui saliamo di livello. Zucca e funghi hanno mantenuto un’ottima consistenza, soprattutto la zucca che non si sfalda. É un insieme delicato e leggermente dolciastro arricchito dall’umami del parmigiano.
Che vi devo dire, amici di Berberè? Ce la sapete, tanto di cappello. Ah, scopriamo anche da dove viene la burrata: azienda agricola Querceta di Putignano, provincia di Bari.
La mia amica, soddisfatta dall’info, mi informa che non chiude un pasto senza il dolce. Io comunque sono satollo ma non mi sottraggo al mio dovere. Lascio scegliere a lei, che becca proprio il dolce che avrei scelto io: mousse di vaniglia, biscotto alle castagne e composta di lamponi. Buono ma senza che mi venga voglia di spellarmi le mani per gli applausi. Il biscotto non è poi così biscottato ma è più simile a un pan di Spagna (o s’è rammollito con l’umidità della mousse? Boh).
Sazio e comunque soddisfatto, vado a pagare: 58 € totali.
Ma la vera cartina tornasole di una buona pizza è ciò che succede dopo: la digestione. Liscia come l’olio, niente pesantezza, niente gonfiore, niente rutti, niente tracannamenti d’acqua in dromedario-style.
Ah Berberè, c’hai la mia benedizione tonnata.
Stay tuna
[photo credits: mie | berberè]