Critica e pubblico considerano Fear Of Music mezzo gradino sotto i capolavori dei Talking Heads, More Songs About Buildings And Food e Remain In Light. C’avranno tutti un po’ ragione, eh, ma se proprio devo tifare per un loro disco, tifo per questo disco.
Non c’entra la rilevanza storica o chissà quale altra elucubrazione filosofico-saccente, no, è piuttosto una questione di pancia, lo metto su e godo come un topomuschiato.
C’entrano le canzoni, ispide eppure così fluide, c’entrano le linee vocali psicotiche di David Byrne eppure così semplici da ricordare, c’entra la miscellanea stilistica così ricca di elementi antitetici che stanno però tutti assieme con una naturalezza disarmante.
É il 1979, produce Brian Eno e tutta la cricca jamma e crea un putiferio, un vortice creativo che culmina in episodi da sballo, tipo il prog-rock sublime di Memories Can’t Wait o l’incalzante hit Life During Wartime, l’eterea leggerezza di Heaven o la claustrofobia funky di Cities, i ritmi africani dell’iniziale I Zumbra o lo sghembo panorama sonoro di Mind.
E poi è un album attraversato da un’inquietudine strisciante che emerge dal sottobosco, una nevrosi urticante che trova nel fantasma liquido di Drugs l’episodio più rappresentativo.
Cazzo se mi piace Fear Of Music. Ora lo rimetto su e mi allaccio il grembiulino, in modo da narrarvi questa nuova epopea fornellesca sculettando senza sosta.
Oggi ho fatto un impiattamento fighetto con lappate di cremina come fanno gli sciéf quelli ganzi, chilometri di distanza tra un elemento e un altro in virtù del less is more – prego, sono 34 € per 4 polpette, grazie – eppure il piatto che vi presento è così facile nella preparazione quanto ricco nei sapori. Che, come sempre, contrastano tra loro.
Tutto parte da un conciliabolo tra me e i miei 130 altri me. Stavamo dissertando su quanto ci piacciano i cocktail con l’angostura, Manhattan in primis che, ok, sarà anche anni Ottanta, ma ci sguazziamo come marmocchi in piscina.
Qualcuno, dal fondo della scatola cranica, s’è alzato, ha ruttato e poi ha urlato: Oh, mapperchéccazzo non ci cuciniamo un piatto con sta cazzo di angostura?
Al netto dell’eccesso di Cazzo proferito da uno dei 130, gli altri 129 e io ci siamo scambiati occhiate d’intesa, qualche occhiolino e, sì, abbiamo accolto la mozione, che ci ha messo così tanta emozione che nei primi istanti nessuno riusciva a secernere un’idea degna di nota, troppo obnubilati com’eravamo da quel turbine di eccitazione.
Poi, io che sono il Capo, ho deciso e ho detto: stormo di stronzi, scelta l’angostura c’è da fare le polpette.
E tutti lì ad applaudire!
E sapete che vi dico? ripresi, Le polpette le facciamo con le Sarde!
E tutti con le vescichette alle mani!
E sapete un’altra cosa? In questo piatto ci voglio anche i pinoli!
Tripudio! Visibilio! Eiaculazioni precoci!
E con questa chiudo altrimenti qui qualcuno ci resta secco e molti di voi soffrono di malattie cardiovascolari: ci voglio anche il porro!
Schiamazzi, strepiti, cagnara a più non posso!
Silenzio, cani! Ora che ho tutto ben chiaro in testa, voi sparite perché adesso devo narrare ai miei fidi lettori come si cucinano le Polpette di sarde all’angostura con crema di pinoli tostati e porro caramellato.
I 130 altri me evaporano e io rimango solo, illuminato da un cono di luce al centro della scena, tutt’attorno è buio.
Bene lor lettori, volete conoscere gli ingredienti necessari per creare polpette a sufficienza per 4 crani provvisti di bocca e apparato digerente? Eccoveli:
Per le polpette
– 300 g di sarde
– 30 gocce di angostura bitters
– 60 g di pangrattato
– un uovo
– farina grano duro
– olio di semi di arachidi
Per la crema di pinoli
– 120 g di pinoli
– 300 ml di acqua calda
Per il porro caramellato
– 120 g di porro
– un cucchiaino di zucchero di canna
– acqua
Per tutto
– sale
Per prima cosa, le sarde vanno pescate ma se non avete un mare a portata di amo, potete recarvi in una pescheria, anche quella di un buon supermercato, mica per forza in una pescheria-gioielleria, perché a Milano il mercato del pesce è buono e uguale per tutti. Poi se abitate altrove, be’, vedete voi dove raccattarlo. Dicevo, le sarde pescate (non da voi, a quanto ho capito), decedute e acquistate vanno pulite con una sequenza di atti piuttosto macabri come: decapitazione, incisione ed eviscerazione, asportazione della lisca centrale. Tutto a mani nude altrimenti non si percepisce lo splatter.
Eliminato tutto quello schifame, lavate e asciugate, depongo le sarde in una ciotola e le annaffio con l’angostura e le lascio lì, a “marinare” per 15 minuti. Verso poi il pangrattato e l’ovetto, mescolo tutto schiacciando con sadismo e furia impastatrice in modo che i filetti di sarda si rompano, direttamente con le mani, una presina di sale e ottengo l’impasto per le polpette. Stacco alcuni pezzi con le mani, più o meno della stessa dimensione, e faccio, appunto, ste sacrosante polpette. Io, perché sono fighetto, le faccio a forma di cubo, ma tu puoi farle anche a forma di icosaedro regolare. Le passo nella farina di grano duro e riempio una pentola con dell’olio di semi di arachidi che metto su un fornello, preferibilmente acceso.
Crema di pinoli, è il tuo turno. In una padella fredda verso i pinoli che costano un sacco di soldi. Avvio la fiamma e tosto i piciulini che emanano un soave odore. Nella stessa padella verso mestoli di acqua calda. Ora mi direte, ma ‘cazzo fai la crema di pinoli senza brodo? Sì, non voglio inquinarne il sapore, che è pur sempre delicato anche tostato, quindi “li tiro” con sola acqua. In 10 minuti i pinoli sono abbastanza morbidi quindi li ficco nel frullatore, aggiusto la purea ottenuta con poco sale e passo il contenuto alla chinoise o anche un normale colino va benissimo schiacciando per bene. Il liquido che si raduna nella ciotola che ho posto sotto il colino è la suddetta crema, che se vi viene troppo liquida, potete rimettere sul fuoco a far ridurre. La mia è della densità che mi serve.
E il porro, lo risparmio? Giammai! Vie’ qua! Lo stufo in padella con sola acqua. Come vedete, niente olio per alleggerire un po’ la ricetta nel suo complesso, dato che a breve friggerò le polpette. Una volta asciugatasi l’acqua, col porro ben ammorbidito, scaravento un cucchiaino di zucchero di canna in padella e appena il porro si caramellizza, spengo la fiamma e aggiusto di sale.
Ormai è tutto uno yeah-yeah-uh-uh-wah-wah, posso friggere le polpette. Olio bollente, quello che ho versato nella pentola, e lancio le polpette per cuocerle a immersione, bastano pochi secondi affinché siano dorate e/o inscurite e croccanti. Le prelevo dalla pentola con la schiumarola e le lascio asciugare in un foglio di carta assorbente per fritti. Aggiusto di sale.
Posso mangiare adesso? Le polpettine, un po’ di crema di pinoli, il porro. Sebbene possa sembrare molto sbilanciato verso un sapore “scuro” per via dell’angostura e della tostatura dei pinoli, l’intervento sagace e sardonico del porro addolcisce la questione, riequilibrando le frequenze dell’intero piatto.
Stay tuna
– Il Disconsiglio: la sfumatura bruna del piatto non può che andare a braccetto con un disco dalle voci un po’ scartavetrate, corrose da fumo e tabacco ma dai timbri delicati, mai sopra le righe. Greg Dulli e Mark Lanegan in concilio per The Gutter Twins, Saturnalia, annata 2008