Che poi, direte, una band con 28 anni di carriera sul groppone, 7 album pubblicati tra cui una pietra angolare, mai una pisciata fuori dal vaso e che perde pure un membro fondatore per un’immane disgrazia, una band così, che c’avrà mai ancora da dire?
Eh, miei cari, ce n’ha, ce n’ha. I Deftones forse non sono più in grado di scaraventarci addosso Capolavori come White Pony ma sparano ancora dischi da leccarsi i timpani. La loro prova più moscia resta finora quel Saturday Night Wrist che mai faceva centro nonostante avesse una Beware da urlo e quando uscì temetti che fosse il preludio a un mesto declino. Poi però Diamond Eyes e soprattutto Koi No Yokan mi hanno rimesso sull’attenti, Chino Moreno s’è sistemato le corde vocali e ora la banda scrive canzoni scintillanti.
Insomma, Gore non ha l’appeal del classico e non ha supersingoli che svettano e credo che proprio questa sua omogeneità qualitativa lo renda un’opera intrigante e fluida, senza giri a vuoto anche quando, a primo acchito, certe canzoni non sfondano (Acid Hologram, Geometric Headdress). C’è tantissima new wave nelle chitarre di Stephen Carpenter e le trame vocali di Chino sono stupende, risentendo molto dei suoi recenti Crosses (Hearts/Wires, Phantom Bride, Xenon).
Non hanno rivoluzionato nulla con Gore, sono solo i Deftones al massimo splendore dopo tutta questa strada.
Dove lo trovate un altro gruppo così? Tutta la mazzamaglia gnu-metal è morta e sepolta e chi è sopravvissuto annaspa mentre questi fanno ancora robissima. Avrei dovuto tributar loro questa nuova ricetta ma non sono degno di partecipare alla loro mensa.
Piuttosto, per trovare la quadra della ricetta di oggi ho faticato e non poco.
Era da settimane che mi frullava tra le sinapsi l’idea di fare un risotto coi ribes. Che sono molto aspri e da usare con cura, soprattutto in un piatto così delicato, quindi per raggiungere l’agognato equilibrio c’ho messo un po’ e diversi esperimenti.
Il primo problema fu il formaggio da abbinare. L’asiago troppo delicato. Il taleggio andava quasi bene ma non mi convinceva e poi l’ho usato in 78956782 risotti: anche basta. Una formaggella di capra, delicatissima e con quella puntina lanuginosa che ben ci stava ma manteneva il piatto su frequenze acide che dovevo assolutamente mitigare. Così sono andato dal mio spaccino caseario di fiducia al mercato settimanale vicino casa, gli ho esposto le mie ambasce e lui, prodigo d’affetto e consigli, mi ha detto, sventolandomi davanti la barba una fettina appena estratta dalla forma: Assaggia Questo. Io Assaggio Questo e all’improvviso le mie papille attaccano a cantare YMCA in trenino. É lui il prescelto, il formaggio che cercavo.
L’altra rogna fu il tempo di cottura dei ribes. Se li metto a crudo fa cagarissimo. Se li metto a 3 minuti dalla fine della cottura si cuocicchiano ma non del tutto e l’aspro resta persistente. Ma scaraventati 5 minuti prima che possa mantecarsi a fiamma spenta, i ribes si cuociono per bene, alcuni restano integri, altri un po’ si sfaldano e danno la leggera acidità che voglio.
Ora è tutto in equilibrio e finalmente posso rivelarvi come ho cucinato questo Risotto con toma d’alpeggio, ribes rossi e maggiorana.
Che, diciamocelo, ha un procedimento semplicissimo tipico dei risotti classici, c’è solo da star attenti ai tempi di cottura, tant’è che armarsi di cronometro è consigliato.
Ma prima di spadellare indefessamente, che cazzo ci vuole per fare sto risotto per 4 poveri affamati? Codesti ingredienti:
– 400 g di riso vialone nano
– 200 g di toma d’alpeggio
– 60 g di ribes rossi
– qualche foglia di maggiorana
– 1,5 l di brodo vegetale (con una cipolla, 3 carote e 2 gambi di sedano)
– mezza cipolla bianca
– mezzo bicchiere di brandy
– burro chiarificato
– sale
– pepe (a piacimento, io non l’ho messo)
Attacco col brodo, solita storia, in acqua fredda metto una cipolla, 3 carote pelate e tagliate e 2 gambi di sedano e porto a ebollizione. 30 minuti, aggiusto di sale, filtro ed è pronto.
Trito la cipolla bianca e la rosolo con una noce di burro chiarificato nel mio fido tegame di rame stagnato. Appena soffrigge leggermente senza che si bruciacchi perché se si bruciacchia io, lo giuro, dico un’immensità di parolacce, aggiungo il riso, lo tosto per qualche minuto e lo sfumo con mezzo bicchiere di brandy. Una volta sfumata la parte alcolica posso iniziare a sommergere il riso con gentili mestoli di brodo.
Il vialone nano cuoce al dente in 14 minuti esatti, giunto quindi a 9 minuti catapulto con salto carpiato i ribes nel tegame in modo che possano cuocere, insaporirsi e insaporire.
Nel frattempo ho tagliato a tocchetti la toma d’alpeggio ricevuta dal mio spaccino. Perché ho scelto questo formaggio? Perché ha una nota amara molto forte e persistente che frena lo sprint acidulo dei ribes. Ha occhiatura piccola ed è a pasta semi-dura, consiglio di tenerla un paio d’ore fuori dal frigo prima di usarla in modo da sciogliersi più facilmente una volta lanciata nel risotto, che è pronto, sono passati i tanto attesi 14 minuti, spengo la fiamma e manteco per bene, aggiusto di sale e aggiungo le foglie di maggiorana che ho tritato, non microscopiche.
Che ricchezza di sapori. Il ribes che va e viene leggiadro senza spadroneggiare, il formaggio che conferisce scioglievolezza e fa frizzare i recettori dell’amaro, la maggiorana che sembra scema ma non lo è, rinfresca e da un tocco mentolato. Va bene così.
Stay tuna
– Il Disconsiglio: be’, mi pare inevitabile che a questo giro sia un Deftones, Gore, annata 2016