Durante il mio sopralluogo londinese ho fatto incetta di animali d’ogni tipo: dall’agnello condito con salsa chimichurri al galletto bretone (paté di fegato compreso, esaltante), dalle ribs di manzo marinate nel J&B e cotte con salsa barbecue alle scotch eggs (uova sode “panate” con trito di cinghiale selvatico speziato a sua volta panato e fritto: meraviglia gustativa), dal salame di alce norvegese agli sfilacci di maiale. Immancabile il fish & chips – anche se quello che m’è capitato a tiro non era granché – poi roba thailandese e giapponese e salmone scozzese affumicato che se la sentiva parecchio. Insomma, il mito italiota secondo cui a Londra si mangia male è la consueta fregnaccia da turisti tricolore che vanno all’estero, ordinano pizza o pastasciutta consci che mai sarà come nell’italico stivale e ne buttano peste e corna per issare la bandiera repubblicana e sventolarla sbeffeggiando gli incolti stranieri. Sai che noia. Ok, non ci saranno i pomodori sanmarzano succosi o le melanzane che ti esplodono in bocca, ma per cortesia, finiamola con questo nazionalismo da ipermercato che m’ha un po’ scorticato lo scroto.
Ma poi perché sta polemica? Io volevo solo elencare tutti gli animaletti finiti nel mio apparato digerente e magari informare l’audience che non sono riuscito a intercettare il tanto decantato pastrami così come l’haggis scozzese, roba da stomachi allenati a quinto quarto di un certo calibro. Sarà al prossimo giro? Ovviamente, anche perché mi sa che quello successivo al prossimo sarà un giro di sola andata. Temo.
Nel frattempo, trasfiguro la Caponata di Melanzane.
Premetto che il copyright non è mio, è un piatto che ho mangiato di recente a un ricevimento nuziale ma l’idea mi è piaciuta così tanto che ho dovuto reinterpretarla con le opportune modifiche, altrimenti che ricetta senzatonnesca è? Per questa caponata urgono:
– una melanzana tonda nera (400 g)
– un gambo di sedano verde
– olive di Gaeta
– una cipolla rossa
– un pomodoro rosso fresco (me l’hanno regalato, proviene da un orto)
– 70 g di tuma pepata ragusana (se non si trova, un pecorino poco stagionato va bene ugualmente)
– cacao nero fondente al 90% in scaglie
– un cucchiaio di aceto balsamico di Modena
– sale
– olio extravergine d’oliva
– olio d’arachidi
Come la stampo sta caponata? Così.
Abbraccio e ammiro la melanzana prima di trucidarla a cubetti e metterli sotto sale per mezz’ora affinché rilascino il famigerato liquido amaro. Lavate e asciugate, via a farsi l’idromassaggio in olio d’arachidi bollente, fritturina da de-ungere con della carta assorbente.
Preparo tutta l’ingredentaglia: pelo il pomodoro a crudo e faccio una concassé; lavoe taglio a cubetti il sedano; denocciolo le olive; taglio la cipolla a fette. In una padella con olio extravergine d’oliva, metto tutta sta faccenda a freddo, accendo la fiamma e faccio scaldare, quando le verdure iniziano ad ammorbidirsi, aggiungo le melanzane.
Per l’agrodolce mi basta il solo aceto balsamico che è ha entrambe le componenti, ne aggiungo un cucchiaio, faccio sfumare un po’ e tolgo dalla fiamma. Aggiusto di sale.
Ora c’è la parte più godereccia. Metto la caponata in una cocotte, la cospargo in superficie con della tuma pepata grattugiata in scaglie e metto in forno col gratìn azionato a 200° per circa 7 minuti.
Estraggo dal forno la cocotte, dispongo su un piatto e aggiungo le scaglie di cacao amaro e, porca puttana, viene una roba affacciarsi al balcone e urlare tanta è l’estasi palatale.
Stay tuna
– Il Disconsiglio: qui ci vuole qualcosa di rustico, roba ruspante ma che, in fondo, abbia un’anima delicata, mi pare ci stia bene un Seasick Steve, Songs For Elisabeth, annata 2008