Ma, qualcuno può sciogliere la prognosi sul nuovo disco di John Grant? E’ una settimana che tento di stendere una mezza recensione, ma il Giovanni mi sfugge di mano con questa sua virata electro-pop. Insomma, ste canzoni, sotto il velo elettronico intessuto da Birgir Þórarinsson dei Gus Gus, fanno cagare o no? Resisteranno alle intemperie o ci faranno venire una diarrea psichica a tutti quanti nel breve arco di un breve arco? La ripetizione è voluta. Ci sono episodi che mi mandano in catalessi, vedi GMF, così reiterata e faticosa che persino Ercole accuserebbe qualche sfogo cutaneo. Però c’è altra roba che mi fa frizzare i neuroni, la title-track ad esempio, monotona per quanto possa essere, ma ha quell’aria minacciosa che avevo rintracciato lo scorso anno in quel gioiello firmato Mark Lanegan, The Gravedigger’s Song. Oh, io ci penso ancora un po’, non si sa mai, poi va a finire come Panopticon degli Isis che non me lo levo dalla testa neanche quando fischietto Gatto Panceri mentre faccio il bidet. Comunque sia, menomale che ci sono i Clutch che ce l’hanno più grosso di chiunque altro.
Caro e cara alla lettura, sperimento. Non so cosa, ma sperimento. L’importante è dire che si sperimenta anche quando non si sa fare una beata minchia. La migliore delle occupazioni da social network è fingere di essere occupatissimi e creativi perdendo tempo sul social network e condividendo foto e quadri di altri. Non è bellissimo?
Cristo, sempre a far polemica, Giarratà. Oggi te la pigli con Grillo, domani con Instagram, dopodomani con le catene di cibo biologico che ti rubano denari a più non posso, il giorno successivo persino coi peli delle tue stesse ascelle. E, come al solito, prima di parlare di cucina, ti fai 1500 battute di cazzi tuoi. Suvvia, basta, parlaci di cosa hai cucinato stasera.
Hai ragione, rompo sempre il cazzo. Io, Uomo Senza Tonno, quest’oggi, mosso da una crescente vena vegetariana, mi sono sparato una no, ma anzi, due cotolette di ceci.
Sacrilegio! urleranno i macellai.
Andate affarinculo, risponderò io.
Bene, come le ho preparate queste cotolette che, essendo cotolette sono fritte? Perché non è che mangiare vegetariano significa per forza verdurine lesse e scondite. Oh, Italia, sveglia!
Quindi, stavo dicendo, prima che vilipenda qualche santo con i primi improperi che mi passano a portata di lingua.
Le manovre sono le solite di sempre: apro una scatola di ceci già cotti, che voglia di stare 12 ore ad aspettare che si ammorbidiscano non ne ho, li passo sotto il getto d’acqua del mio favoloso rubinetto, non quello, quell’altro, quello della cucina, li asciugo e li verso in una ciotola. Aggiungo qualche aghetto di rosmarino. Solo questo.
E poi: Frullo! con la consueta onomatopea, frlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrlfrl, e non appena la purea è compatta, aggiungo un cucchiaio di grana grattugiato. Niente uovo altrimenti la faccenda qui si rammollisce e invece la appena accennata faccenda dev’essere a prova di cementificio. Creo una palla compatta che poi schiaccio a mo’ di fetta di carne.
Sì, lo so che mi insultate, carnivori, sono ancora uno di voi, ma non trucidatemi lo scroto con le vostre paranoie, su su.
Rompo e sbatto un uovo, prendo la farina e il pangrattato. Che ci faccio con tutti sti cari compari? GLIELA PANO!
Prima farina, poi ovetto, poi pangrattato. Bum. Oh, farina di grano duro, mi raccomando, che la panatura così si trasforma in carapace.
Ovviamente, quel grandissimo figlio di meretrice dell’uovo ammorbidisce l’amalgama e, mentre lo passo nel pangrattato, si creano delle crepe, ma io alzo il medio e, caparbio, suturo ogni lesione. Come dicevano i Sioux: Suca
Olio extravergine d’oliva in padella, perché sono puzzone e meridionale e non è detto che debba per forza friggere col burro e trasformare il sangue che ho nelle vene in glassa ematica.
Posso passare al momento cruciale.
Strafriggo come un caino. sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh-sfrsh.
Ancora sfrigolante, la cotoletta s’accomoda sul piatto, leggermente salata e pronta per farmi fare tanti bei superburp! Per alleggerire lo spartito, gli spruzzo addosso una bella vagonata di maionese e posso così benedire tavola e appendicite.
Ovviamente, ascolto John Grant. Non c’era neanche da chiederlo.