Oh, non farmi dimenticare di rinnovare il dominio del sito. Per cortesia. Che quelli della piattaforma dove mi sono annidato ce li ho alle calcagna, ogni 3×2 mi inviano email di rinfresco della precaria memoria. Mettitici anche tu, mi raccomando, lasciami un asettico post-it sul frigo, o una scritta col rossetto sullo specchio del bagno. Ci tengo.
Caro lettore, ti ho abbandonato. Sono un barattolino di merda, è vero. Ma sto concentrando tutti i miei sforzi mentali, ti lascio immaginare quanti, per gli arrangiamenti del primo Ep del mio progetto solista. Ci tengo tanto a non far uscire delle autentiche cagate cosmiche, e di cervello ne ho uno solo. E di tempo meno di uno. Sono così concentrato su questo dischetto che ho il fango in casa, devo scavalcare cancelletti di indumenti disseminati per terra, dribblare colonne di sacchetti di differenziata, combattere contro strani organismi a 21 teste sgorgati dal lavandino o dal cartoncino di farina dimenticato in dispensa. Ho pure ritrovato ossa fossili di un enorme rettile dell’Oligocene ma non ti svelerò il nome dell’esemplare prima di aver rivenduto l’esclusiva al National Geographic.
E’ una vita dimmerda quella dell’artistoide sfigato che non ha mamma&papà che ti pagano l’accademia o lo studio di registrazione o anche solo l’affitto di casa. Ma lo posteggerò nelle chiappe a tutti gli artistoidi allattati dalla mammella-bancomat di famiglia. Il topo disse alla noce: dammi tempo che ti faccio il buco.
Ah. Non mi dilungo troppo. Anzi, non mi dilungherò troppo dopo aver accennato a un’esperienza ultraterrena in cui mi sono imbattuto la scorsa settimana. Niente sodomie aliene. Niente esperimenti di telecinesi. Di più.
IL CONCERTO DEGLI SWANS A MILANO.
Se ci fosse libertà di bestemmia in questo paese che si eccita alla vista di un nuovo papa furbetto, tirerei un porconis carpiato, ma eviterò. Assistere a un live degli Swans è come costringere la propria anima a suicidarsi mentre il corpo si tagliuzza ogni parte. Gesù. Sono fuggito dopo 2 ore e 40 minuti di feedback ed esplosioni e stacchi reiterati e chitarre digrignanti non per pavidità, ma perché altrimenti nessun tram mi avrebbe ricondotto nella mia magione, quella dalla quale, da sopravvissuto, scrivo queste affaticate parole. Ti giuro che c’era gente che fuggiva dalle prime file in preda all’isteria, uno è stato per 20 minuti pieni inginocchiato con le dita a tapparsi le orecchie. Per la prima ora e mezza sono stato rapito da trip mentali meravigliosi, poi l’effetto della birra rossa doppio malto è svanito e mi sono ritrovato a fare i conti con la veemenza cosmica di Michael Gira e soci, gente bastarda come poche che rendono i concerti un’esperienza fisica ancora prima che acustico-mentale. Non posso andare oltre, non c’eri, non potrai mai capire. Mi dispiace.
Piuttosto, in questo periodo di latitanza ho sfornellato pochissimo. Ma sono pronto a risorgere prima che lo faccia JC-Superstar la prossima domenica. Ti presento una recente invenzione, perfezionata nei secoli dei secoli. AbramoIsaccoAgamennone!
Mi sgranchisco le pinne e ti rivelo questa ricetta più segreta della Coca-Cola, che tanti rutti fa far. Aguzza il pinnacolo:
SFORMATO DI CAVOLFIORI
CON
ZAFFERANO
E
STRACCHINO
HAI CAPITO?
Scusa, il nome della ricetta era finito una riga fa.
Orbene, non cagarmi il cazzo e leggi attentamente e non dire che i cavolfiori non ti aggradano perché giuro che ti estrometto da questa Loggia Massonica di Gran Petatori.
Prendi penna e calamaro e segna sti ingredienti, va’! Per una persona, io, unico sfigato, poi tu moltiplica anche per il-lo-la tua-tuo amante-amanto.
– 170 g di cavolfiore
– 2 uova
– 90 g di stracchino fresco, non strichnina, tossico che sei
– zafferano: dei pistilli vari, altrimenti una bustina. Lo so che costa.
– menta secca quanto ne vuoi
– sale, per curare l’ipertensione
– pepe, macinate a godimento
– burro, quel che serve per imburrare la cocotte. Ah, i fiocchetti in superficie
– pangrattato
– grana grattugiato
E’ tutto così semplice che quasi mi vergogno a descrivertelo perché dovresti arrivarci da solo. Ma comunque, la mia missione sociale è questa: sparare cazzate col mitra della mia collaudata tastiera QWERTY.
Osservo il cavolfiore, lo annuso, lo accarezzo, gli sussurro dolenti parole di cordoglio, dato che giace esanime sul mio piatto. Lo amputo, gli stacco una parte corrispondente a 170 grammi gravitazionali terrestri da Pianura Padana, lavo l’arto amput-arto e lo seziono ulteriormente in ulteriori frattali. La pentola spumeggia poggiata sul fornello, sguish, il cavolfiordo va a farsi l’idromassaggio per 15 minuti filati.
Mentre l’incremento termico agisce sulla consistenza del cavolfiocco, estraggo dal suo sacro involucro lostracchino e lo guardo. Basta, ‘cazzo ci devo fare? Riporlo in una ciotola? Yes, ai chen. Lo faccio quindi.
Dall’apposito ripiano del frigorifero, ma solo dopo essermi pettinato le sopracciglia, tiro fuori due uova. Ne disintegro la scorza scaraventandoli sul muro. La colatura mucosa dell’albume e viscosa del tuorlo viene giù dal muro per adagiarsi in un’altra ciotola. E’ in questo preciso momento che mi armo di frusta e batto la colatura dell’uovo kamikaze, a cui addiziono del sale e della menta secca perché-questa-ho-a-casa. Se avessi avuto foglioline profumate di menta fresca ne avrei fatto un trito. Ma non ne ho, niente obiezioni.
Finita la gita alla spa, i cavolfrolli si fanno scolare e passare sotto l’acqua fredda senza alcuna resistenza. Bravi bimbi.