L’imperativo è Darci Un Taglio Con ‘Ste Introduzioni Lunghe E Inutili Di Cui Non Frega Nulla A Nessuno. Hai capito, Omuncolo Sprovvisto di Tonno? Oh, sto parlando con te! Non far finta di non aver sentito. Non far finta di avere un aloncino incrostato sulla punta della scarpa. Non far finta di fingere di non star fingendo. Ci stiamo impelagando entrambi in un labirinto di finzioni. Cosa fischietti a fare e ti guardi intorno come se tentassi di intercettare un micro-insetto inesistente! Porta rispetto ai tuoi superiori e guardami in faccia quando ti redarguisco, altrimenti ti farò cannibalizzare da uno stormo di poiane che mi farò recapitare dalle Galapagos appositamente ed esclusivamente per tale scopo.
Ammetto di vederti un po’ spento, piccolo Uomo Senza Tonno. Sì, tu. Da quando non trasmettono più il Festivalbar non sei più lo stesso. Sei affranto, Essere Umano Di Sesso Maschile Che Non Possiede Alcuna Latta Con Degli Scarti Di Pesce Volgarmente Definito Tonno. Ti manca Corona? Vorresti riesumare Scatman? Hai saputo di Repetto e Max Pezzali? Giubilo, n’è vero? Come dici? S’incu… che? S’incuineino? S’incubino? S’incuriosiscano? S’incul… eh no, no, Marco Giarratana! Non nasconderti sotto quella tuta mimetica con vello facciale e t-shirt da lurido metallaro col culo lordo e peli trapezoidali, non sono ammesse parolacce nei blogghe di cucina, anche se io ho appena detto CULO. Come la tua faccia. Qulo. Come dici? Non posso trattarti così? Ok, potrei anche smetterla. Ma tu guarda… d’accordo, Giarra, non piagnucolare, per cortesia.
Ricomincerò a interessarmi alle tue peripezie, macroscopico ammasso di sterco di pellicano romboidale. Piuttosto, raccontami qualcosa. Che dici? Sei stato a una degustazione di vini? E c’era anche la degustazione del salame di Varzi? Oh, ti piacque? Bene, sbronze? Guardami… eh, lo sapevo, un po’ ti sei sbronzato. Quanti te ne sei fatti? 5. 5 bicchieri. E ti sei pure portato a casa 5 calici. Ti sei rifatto il servizio. Che ganzo che sei. Eh, sì, alla degustazione guidata col sommelier… avevi sto tizio seduto accanto a te… ah sì, ho capito, il tipo di persona che vuol dimostrare che ne sa più del sommelier. Come quelli che vanno alle presentazioni dei libri e tirano fuori domande così complesse e inutili che alla fine non sono neanche domande ma cataste di parole, le più ricercate e vuote possibili. Quindi, sto tizio… ah, non faceva domande. E che faceva? Ha assaggiato il vino prima che il sommelier lo permettesse? E infilava tutto il naso dentro il calice e girava il collo e stava come cercando qualcosa dentro il bicchiere con le sue cavità nasali e annusava quel dannato vino come se volesse limonarselo e ti faceva tanto ridere questa cosa che però non hai riso per rispetto di questo tizio che scrutava con le ghiandole olfattive il vino rosso, un Pinot Nero dell’Oltrepò pavese? Cosa c’è di strano, Giarratana? Alle degustazioni la gente si annusa pure le mutande vicendevolmente, che ti meravigli a fare? Si vede che sei uno sprovveduto coi paraocchi pronto a spalare escrementi contro tutto e tutti. Sei un polemico del cazzo, ecco cosa sei. Ah, ho letto il tuo articolo sul concerto dei Soundgarden. Cioè, fammi capire, non te ne va bene una, neanche i Soundgarden. Vergognati, Marco Giarratana. Ver-go-gna-ti.
Guarda, mi infastidisci così tanto che decido arbitrariamente di ignorarti, perché come dice il tuo amico Luca Cardella, sei proprio Un Uomo Dimmerda, Un Terrone del Cazzo, altro che Uomo Senza Tonno. Strizzati le natiche e levati di torno, che ho da cucinare.
Ciao, caro e cara lettore e lettrice. Ho un dissidio interiore, un flusso di coscienza che mi costringe a mandarmi autonomamente affanculo. A breve andrò da uno psichiatra e non considererò mai più Marco Giarratana, quell’infame che è la causa di tutti i miei guai. Nell’attesa, ho deciso di cucinarti un piatto che, sono certo, ti fara strabuzzare i polpastrelli e ti tradurrà in un verbo deaggettivale akan.
Trullo di trambusti…
Monsieurs…
Mademoiselles…
Salmone gratinato
con contorno di
riso venere e verdure saltate.
Lode e gloria a Dio nell’alto dei teli da mare.
Giunto at the gates of my recipe, annoto sulla mia furbesca Moleskine Recipe Journal il seguente elenco di ingredienti atti a svolgere la funzione di concorrere con concordia allo sviluppo necessario della trasfromazione organolettica e utilitaristica del proscenio pagano che ivi vi si ormeggia dopo atavici romitaggi.
‘ cazzo è?
Ingredienzismo:
Per la marinata
– 10 cl di olio extra-smadonnato-d’oliva
– succo di 2 limoni o anche 3, preferibilmente senza i semi, grazie
– un cucchiaio di miele millefiori
– un cucchiaio e mezzo e forse 2 di senape antica
– qualche grano di pepe rosa
– erba cipollina ad libitum
– una foglia di menta fresca
– sale
Poi:
– un trancio di salmone fresco, se ancora muove le pinne il successo è garantito
– pangrattato
– sesamo
– nocciole tritate
– sale
– pepe nero
E ancora:
– 80 g di riso venere
– una zucchina verde
– 70 g di fagiolini freschi
– 5 bustine di tè
– una noce di burro
– sale
– pepe nero
In un microsilos, verso l’olio extra-sbudellato-d’oliva. Spremo 2 limoni, poi un altro ancora, quindi 3 limoni in una tazzina. Dato che sono poco pratico, tolgo i semi che cadono con un cucchiaino, diluendo ancor di più i tempi di preparazione del mio Salmon Le Bon. Verso il succo di limone de-semizzato nel microsilos.
Sbarattolo il coperchio del barattolo di miele e, ciak, gli catapulto un bel cucchiaio lucido e che riflette la luce e che solleva una quantità di miele che si aggira intorno a un cucchiaio, che poi finisce nel mix che sto mixando.
Come se non bastasse, per creare una marinata che stia in bilico tra l’acidulo e il dolce, tiè, vedi che ti ci ficco? La senape antica, quella in grani che si recupera in qualsiasi supermercato ben fornito. Ravano dentro con un altro cucchiaio, pulito e che profuma di Infasil, e anche la giovane senape si fa una bella immersione coi suoi nuovi amichetti. Di’ ciao ai nuovi amichetti. Brava.
Per completare la salsa marinatrice, vado in sequenza con il lancio di piccoli esseri venuti dallo spazio comegrani di pepe rosa, un po’ di erba cipollina tritata e un altrettanto tritata foglia di menta fresca.
Attacco la spina nella presa, sistemo il braccio meccanico nell’apposito accogli-braccio-meccanico e quando pigio sul pulsantino rosso, la lama doppia comincia a roteare con un ronzio frullante e, tzàc, infilo il minipimer nel microsilos dove sono adagiati gli ingredienti di cui ho fatto menzione fino a poco fa. Frullo per amalgamarli bene, frullo perché il miele è troppo denso e scomporlo con la frusta è una gran rottura di coglioni, ecco.
Assaggio con la punta di un cucchiaio, il terzo. Male, ci vuole il sale. Una presina piccina e mescolo. Ri-assaggio. Come si dice in Sicilia: Sa bello.
Prima che i liquidi si separino, con l’olio extra-scartavetrato-d’oliva ad elevarsi verso l’alto, galleggiando come uno stronzio patentato,
infilo il mio bel tranciuzzo di salmone in una ciotola di terracotta – mi raccomando, con composti acidi niente metallo e plastica, sono preferibili ceramica e terracotta
e lo ricopro con la marinata così faticosamente plasmata.
Copro con uno strappo generoso di pellicola per alimenti, chiudo bene e infrigo nel frigo e lascio infrigare per la bellezza di 2 ore.
Arrivederci.
Dopo un’ora e mezza di soggiorno in frigo, annuso con le orecchie il sonnecchiamento godereccio del salmone che chissà quali sogni marinareschi sta facendo. Be’, comincio a dedicarmi a quello che sarà l’accompagnamento di questo pesce così poco furbo che quando risale la corrente finisce dritto in bocca agli orsi.
Lavo per bene i fagiolini e ne spicco le estremità,
li taglio a tocchetti non troppo piccoli e li lesso per una decina di minuti in acqua assolutamente non salata. Li scolo e metto da parte.
Prendo l’accondiscendente zucchina, ne ammiro le venature più chiare nella buccia verde come fosse una piccola colonna ricavata da un blocco di granito e la sbuccio, tenendo la buccia ed eliminando la parte interna, che, come saprai, è piena zeppa di acqua e quasi del tutto insapore, francamente inutile per i miei attuali scopi, quindi la falcidio, la anniento. La butto.
La restante buccia, invece, la taglio a listarelle più o meno sottili e poi a tocchetti e metto da parte.
In una pentola consenziente porto a ebollizione tanta acqua quanta me ne serve. Sopraggiunto il bollicismo, infondo la bellezza di 5-cinque bustine di tè. Se ce l’hai, usa il tè verde, altrimenti va bene anche quello delle 17.
Una volta inscurita, l’acqua non può far altro che accogliere con un applauso schiumoso un ingente quantità di riso venere. Se usi del riso dai chicchi bianchi, una volta scolato vedrai che questi si saranno imbruniti. Il sapore si modifica non di molto, ma il tè conferisce una nota speziata e vagamente amarognola.
Muy bien, dopo 12 minuti di cottura, tiro fuori il riso dal pentolocchio e, dopo aver sciolto un parallelepipedo di burro in una padella, catapulto prima i fagiolini, poi le bucce delle zucchine e salto il tutto con una sfumatina di vino bianco che sempre sia laudato.
Una volta ridotto il vino, infilo il riso e continuo a far saltellare quest’ammucchiata per circa 5 minuti. Aggiusto di pepe, aggiusto di sale, arrivederci e grazie. Metto da parte.
Due ore son passate, il salmone s’è un po’ scocciato di star messo in disparte avendo parecchio da dare a questa ricetta. È lui il protagonista, d’altronde.
Lo tiro fuori dal frigo e tolgo la pellicola.
In un foglio di alluminio verso del pangrattato, sesamo e nocciole tritate e mescolo per bene.
Estraggo il salmone dalla ciotola e, ancora grondante di marinata, lo pano a destra
e manca, ambo i lati finché ogni angolino non è ricoperto.
Guarda caso, per puro caso, a casaccio a casa ho un forno che si è già riscaldato alla bellezza di 200°. Il solarium è pronto, la tintarella di gratìn sta per abbracciare il salmone, che adagiatosi in una teglia guarnita con carta forno, si busca i raggi ultraviolenti. 20 minuti netti netti, con gli ultimi 5 di grill per rendere la parte superiore croccante.
Ya-tah! Il pesciolino s’è gratinato egregiamente e non aspetta altro che coricarsi su un piatto circondato da riso venere e verdurine, ormai raffreddatisi, a fare da contorno. Sconsiglio vivamente di guarnire il salmone con qualcosa che non sia un filo d’olio extra-vergine d’oliva.
Il bouquet di sapori generato dalla marinata rimane intatto: la punta dolce del miele, disturbata dall’asprezza di limone e senape in azione congiunta, esalta i toni grassi del salmone, che assume un’inattesa morbidezza. Nella panatura, sesamo e nocciole ampliano la commistione di sapori. Il riso, oltre a contribuire al colpo d’occhio nel piatto, ha assunto una venatura amara, adesso lenita dal passaggio in padella con le verdure e il burro, ma l’ombra è pur sempre presente al palato.
– Il Disconsiglio: è un mondo brullo e triste e se ci fossero più salmoni rosa gratinati il pianeta sarebbe una polpetta di scaglie di pesce. Meraviglia delle meraviglie, col miele tra le papille, la dolcezza di una voce femminile si sposa amabilmente col piatto. Voce paglierina, chitarra limpida, à vous: Tara Jane O’Neil, A Ways Away, annata 2009