Borges aveva un problema. Per anni si era occupato di saggistica e recensioni letterarie e, quando decise di scendere in prima linea scrivendo Narrativa di Prima Mano, ebbe notevoli difficoltà per superare lo scoglio chiamato Inizio di un Racconto, nonché Creazione di una Storia. Due scogli, quindi. Gli venne un’intuizione geniale per venire fuori dall’impasse: avviare i racconti come se stesse recensendo un libro, spesso rivestendo di mistero storie che narrano di manoscritti ritrovati, persi tra le rughe della senescente pelle del Tempo e robe di questo tipo.
Che c’entra Borges e il suo blocco col mio blogghe? C’entra, in minima parte. Sia io che lui abbiamo fatto di necessità virtù.
Borges: necessità → passare dalla saggistica alla narrativa; virtù → appellarsi a uno stile a lui già noto, la recensione, per superare il Blocco e, magari senza neanche volerlo, creare un nuovo genere narrativo, il racconto-che-si-moltiplica.
Io: necessità → iniziare questo post con un’introduzione che non riuscivo a secernere e che partisse-da-lontano-per-arrivare-al-magico-mondo-dei-fornelli; virtù → citare uno scrittore figo che aveva il Blocco per superare il Mio Blocco, facendo la figura dello splendido. O del coglione.
Sono furbo come la volpe di quella famosa marca di carta igienica, ammettilo (ti rivelo un segreto all’orecchio: la citazione l’ho scippata a Calvino, aumma-aumma. Ssshhhh).
In verità, in verità ti dico che avevo pensato di battezzare questo scritto con una dissertazione soporifera sui molteplici significati del colore verde, solo che mi pareva: a) new-age farlocco, gratuito e ai confini dello sfigato; b) un po’ da Albero Azzurro.
Sfanculato quindi il movente cromatico, ricorro alla letteratura e ai meccanismi della metafinzione, accoppiata che fa Uomo Colto con gli Occhiali alla Moda, che fa anche Uomo di Sinistra Introspettivo, che fa inoltre Libri & Cucina = ti-prego-sposami-o-spostami, che fa infine Gino Pilotino.
Vabbè, basta, mi sono rotto. Non posso girare intorno al piatto per tutta questa porzione di testo.
È giunta l’ora di introdurre il nucleo centrale di questo nuovo intervento da Uomo Senza Tonno. Oggi ti preparo una pietanza impegnativa ma che potrebbe farti strabuzzare le papille gustative.
Io e la lasagna siamo diventati confidenti palatali solo di recente, ovvero da quando ho un forno in casa. Magri furono i tempi dell’università senza esperimenti di gratìn e paste al forno dinamitarde e mi rendo conto solo ora di quanto limitante fosse cucinare senza un coso che ti va a 220 gradi centigradi.
Domenica, giorno del Signore, quindi anche Giorno Libero nonché Giorno della Lasagna. Stavolta verde, perché a stare sempre in città mi vien voglia di Casa nella Prateria e quindi ne riproduco le tinte pastello in teglia.
Quindi oggi si va di:
Lasagne al pesto.
Ma con la variante.
Fiiihiu (onomatopea del fischio, ma un fischio di puro apprezzamento)
Per una teglia quatri-porzione di Lasagne al Pesto con Variante m’occorre
– 250 grammi di lasagne (secche o fresche, come diavolo t’aggrada)
– 300 grammi di patate
– burro
– latte
– noce moscata
– 300 grammi di pesto fresco (senz’aglio per evitare rigurgiti)
– 100 grammi di crescenza
– 200 grammi di mozzarella
– pangrattato
Che io sappia, o forse sto per sparare una megafesseria, nelle lasagne al pesto si usa la béchamel, che preferisco in versione me-la-faccio-da-me. Ma stavolta, per aumentare la densità del composto che mi servirà per condire la lasagnazza, costruisco un’altra cosa. Ovvero, un purè di patate che, come avrai già capito coi tuoi antennini ricettivi, sostituisce proprio la béchamel.
La scorciatoia temporale perfetta sarebbe quella di un comune Purè Bustino da supermercato, anche perché non serve chissà quale colpo da chef de rang dato che verrà unito al pesto, confondendosi tra le note del basilico. Se vuoi risparmiarti un’abbondante mezz’ora – facciamo 45 minuti? – segui le istruzioni del pacco che hai comprato nel sotto-reparto Farine-PuréBustini.
Qui lo faccio da me, il purè, seguendo il procedimento classico: pelo le patate e le riduco a cubetti.
Le scaravento nella pentola, con acqua un po’ salata e già in avanzato stato di ebollizione.
Le scolo e con lo schiacciapatate riduco il tutto in una mezza purea, altrimenti che diavolo di purè potrebbe mai essere? Produco la mezza purea meravigliosa e filiforme nella stessa pentola che ho usato per lessare le patate.
Rimetto sul fornello a fuoco dolce e aggiungo delle Lastre di Burro (salato, quello danese, quello yeah)
e aggiungo progressivamente il latte, controllando la densità e rimestando con un cucchiato di legno che-mi-ricorda-tanto-i-giochi-che-facevo-da-marmocchio-quando-simulavo-di-essere-He-Man-con-la-spada-usando-invece-proprio-un-cucchiaio-di-legno.
Aggiusto di sale, tolgo dal fuoco e, con l’apposita micro-grattugina, insaporisco con un po’ di noce moscatache ci sta ‘na meraviglia.
XXX-WARNING-XXX: il purè deve raggiungere una densità di poco superiore alla normale béchamel. Non dev’essere troppo liquido altrimenti la lasagna s’ammoscia e diventa una zuppa al forno. Annota.
Mentre tu annoti, io ti elargisco una nota d’inizio post: come avrai notato col tuo occhio da falco reale, la quantità di purè è nettamente superiore a quella che avrei ottenuto se avessi realmente usato 300 grammi di patate. Stocazzo. In realtà ne ho impiegate ben 700 grammi e ora ti spiego perché. Ste cazzo di patate spesso si sfaldano e, quando le scolo, me ne rimane una manciatina da Carestia & Fame nel Mondo. Insomma, ste patate sono una truffa perché questa volta, non sfaldandosi, me n’è avanzata una valanga. Bastarde.
Chiusa l’invettiva contro le patate-che-non-si-sfaldano-più, lascio che la faccenda-purè si raffreddi. Cosa potrò mai fare in questo lasso di tempo? Giocare a ramino? Farmi uno scrub ai piedi con l’accendino? Correre nudo per strada urlando e facendo la pipì sulle ruote delle macchine dei facoltosi uomini d’affari milanesi che posteggiano in seconda fila? No. Io riduco la mozzarella a fettine. E le depongo (depongo?) su uno dei miei piatti con bordo preraffaellita.
Il consiglio di SuorGerMarco: “penso sia meglio un panetto di mozzarella per pizza che sì, lo so, è meno saporito, ma rilascia meno latte e non ammorbidisce così la pasta. Però, se sei dotato/a di una Santa Pazienza tale da aspettare che scoli, fa’ pure. Anzi, fa purè (oddio, questa era brutta forte…)”.
Il portello del mio frigorifero rachitico si schiude rispondendo al comando Apriti-Tetano e dalla bocca glaciale escono, sorretti da arcangeli che intonano canti di gioia, un paio di vasetti di pesto fresco, magarisenz’aglio così digerisco che sono un treno e non intono io, a mia volta, canti di gioia con accenti gutturali ed esofagei.
Insieme al pestifero senz’aglio, dal medesimo e rachitico frigorifero (dovrei fare una foto per fartelo vedere: è piccolo come un frigobar, mannaggia a Babar), salta fuori danzando e volteggiando nell’aere un mattoncino di crescenza in monoporzione da single penta-sfigato da 100 grammi. La crescenza sostituisce il parmigiano che non ho aggiunto al purè e, col suo sapore un po’ acido ma delicato, lega alla perfezione col pesto.
In un’insalatiera-retrò-perché-questa-ho, eseguo la seguente addizione: pesto fresco senz’aglio + crescenza + purè= il Composto.
amalgamo con una frusta, eseguendo movimenti dodecafonici e valvolari in modo da scomporre la crescenza che tende a fare i grumetti, che poi, se ci penso, non è neanche tanto male, perché, quando sarà in forno – ci sono troppe virgole in questo periodo e sto per singhiozzare –, potrebbe filare. E filerà, caro internauta alla lettura. Metto solo un filino d’olio per mantenere un po’ d’equilibrio, dato che il purè, noto,sta compattando parecchio. Il risultato finale, come già annunciato dall’addizione qualche riga sopra, è Il Composto.
Bene, mi sento un capodoglio. Non c’entra niente, ma volevo scriverlo.
Sul fornello più grande dei quattro di cui dispone il mio piano cottura, c’è la Gran Pentola. Le sue acque bollono, son già equipaggiate di sale grosso e le onde son pronte per accogliere loro, le protagoniste di questo Festival del Tripudio del Triposto su Treppiede, ovvero le Lasagne. Apriti Cielo.
Comincio a lessare le lasagne, tre alla volta, voltandole con la schiumarola, ovvero lei.
Tre minuti per ammorbidirle sono perfetti, le tiro fuori e le stendo su una tovaglia pulita per asciugarle.
Postilla & Pistillo: potrei usare lasagne fresche evitando più di mezz’ora di lavoro, ma quelle secche rimangono sempre un po’ al dente, le preferisco.
Siparietto: sarà simpatica, sarà buona, ma la lasagna è una baldracca. Non appena si ammorbidisce nell’acqua, si contorce a destra e manca come un’indemoniata. Genera così dei vuoti d’aria, sempre nell’acqua, che a loro volta generano delle bolle che, a loro altrettanto e fottuta volta, schizzano fuori dalla pentola. Ora, maledetto il momento in cui ho preso questa abitudine, ma io cucino scalzo. Cosa succede? Succede che un fiotto, dall’aspetto innocuo ma da 100epassa gradi centigradi, balza fuori dalla pentola e, grazie all’amata forza di gravità che il caro Isaac Newton ha così nobilmente scoperto con una cazzo di mela che gli piomba sulla zucca, mi precipita sul dorso del piede nudo… tante bestemmie fuoriescono dal mio cavo orale in questo preciso istante. Le nuvole in cielo avvampano e sirene di pompieri vanno lassù, in zona-Paradiso a tentare di estinguere l’incendio generato dal mio multiplo vilipendio. Vabbè.
Disavventura ustionante a parte, però, tutto procede come da copione (ovvero il compagno di banco che ti scruta il foglio durante il compito: oh, ma oggi scrivo battute dimmerda, sul serio).
Preparo la teglia con un foglio di carta forno e creo uno strato di fondo con un po’ di Composto.
Una per una, dispongo le lasagne per creare gli strati e sto passaggio è divertente quasi quanto il tetris, garantisco. Per ogni piano spennello, anzi no, scucchiaio, perché uso il cucchiaio per l’operazione-spalmeggio, il Composto.
Ogni scucchiaiata è rifinita con fettine di mozzarella, disposte con precisione chirurgica servendomi di una squadretta.
Quando finisco di strateggiare per ben 5 volte, e col forno in azione a 200°, mi ritrovo al cospetto di un’Astronave Sumera di Lasagne Verdi, pronta per il suo viaggio verso la Cottura, terra che le conferirà un aspetto croccante e invitante. Una spolveratina di pangrattato in superficie non ha mai fatto male a a nessuno: un po’ di gratìn è consigliato nei circoli gustativi più altolocati.
La cottura avviene in 25 minuti e in quell’arco di tempo il mondo resta col fiato sospeso, in attesa che l’Astronave sbarchi sulla Terra Cotta, come gli astrofisici della Nasa Sumera hanno prestabilito. Tutto è bene quel che finisce, chissenefrega se bene, e la missione riesce. Una mattonella di Astronave Lasagnica è giunta fino a noi, gli archeologi del British Lasagnius Museum la espongono al pubblico dal 31 febbraio al 37 settembre 2068.
Stay tuna
– Il Disconsiglio: Piatto morbido, soprattutto se preparato col purè che non appesantisce quanto la béchamel, le lasagne al pesto richiedono musica vellutata dai timbri delicati, ragion per cui: Elliott Smith, Elliott Smith, annata 1995.